The ESG Movement

Going green has never been more difficult, or has it?
ESG investing, meaning environmental, social, and governance investments investing, aims at investing in companies that strive to make the world a better place.
If we take a quick leap to the past, to the thriving 1950s, the possibility of going green not only was not a priority but also a far vision.
Whereas this year, the pace of green change has profoundly accelerated as a byproduct of the pandemic. Just think about shopping; instead of there being 40 people driving to the shops, there was one single Amazon van delivering the goods straight at your doorstep.

Reasons

Many reasons lie behind the big wave of the ESG movement; while some investors want their money to go towards companies and projects that will have a positive effect on the world, others just want to minimize the harm that their investments have on communities and ecosystems. There is also a third group that takes advantage of ESG principles to protect their own portfolio from potentially negative impacts.
However, it is essential to remember that all ESG investors want to make a return on their money no matter the motivation.

The dilemma

Nonetheless, this is much harder in practice than in principle. Consider the following example, how do you decide whether a company deserves the halo of being classified as ESG friendly?
If you look at Tesla that makes electric cars that are better for the environment than the traditional ones, you would think that this investment would positively impact the environment.
But this is not straightforward. What about the environmental impact of mining nickel which Tesla uses in its batteries? And is the electricity used to charge your car coming from renewable or non-renewable sources? Tesla has also stated that it made a $1.5 billion investment in Bitcoin, which is, as Bill Gates observed, an environmentally damaging activity because of the energy required to mine Bitcoins. So, what should you do? Do you buy Tesla shares or not? The answer is not so clear-cut. However, these days most people don’t have to make that decision. As a matter of fact, there has been a rise in passive investing that means that most investors choose an index tracking fund like an ETF (Exchange Traded Fund) or a mutual fund which puts their money into a basket of companies stocks that track an index to create an ESG focused index.
This means that the companies present in that basket have met specific criteria that define them ESG friendly.

The criteria

But how is this established?
This is still up for debate, yet the numbers of indices that provide an ESG focus have definitely exploded from 2019 to 2020, increasing by 40% according to the Index Industry Association survey. In fact, the amount of money invested ESG assets has also increased in the US wherein 2016, there were $8.1 trillion in professionally managed ESG assets according to the Forum for Sustainable and Responsible Investment, and by 2020 that number grew to $17.1 trillion, which is more than a 100% increase in just four years.
Regarding who establishes which companies to put in those indices, there are many index providers that rely on different metrics that score companies based on their ESG score. What are the metrics that are considered?
ESG impact examples of metrics are factors like exposure to carbon-intensive operations, energy efficiency, human rights concerns, etc.
Nevertheless, there can be differences between the rating agencies even if they’re scoring the exact same company. Generally, index providers have a committee that helps make decisions on which companies to include and which to exclude. This is quite important because the companies’ stocks they include will actually benefit from more investor cash. However, the subjectivity of classification has led to controversy over whether some funds are genuinely investing in companies that fulfill the vision of ESG or whether some index providers are merely using it as a marketing term and putting the ESG label on funds that don’t really deserve it. This is why it’s fundamental for investors to cautiously read the methodology and perspectives behind an ESG index before they invest in it to ensure that what they are investing in actually mirrors their final goal and intent.

Final remarks

But are the returns of these ESG funds better or worse than traditional investments?
In this chart showing an ESG fund’s performance versus a standard fund, you’ll notice that they perform pretty much in parallel to one another.

Of course, this is just one example; some ESG funds may do better than the benchmark and others that may do worse, but the beauty of ESG is that in general, investors don’t need to worry about sacrificing performance for the common good. Maybe this is why so many investors are joining this “green wave”.

ESG – Investire con un occhio al futuro

Environmental, Social, Governance; ESG è un acronimo che negli ultimi anni è diventato sempre più popolare nel mondo della finanza e degli investimenti. Già con l’aumentare della sensibilità dell’investitore medio alle tematiche ambientali queste compagnie e fondi hanno visto un aumento vertiginoso dei flussi in entrata da parte degli investitori negli anni precendenti. Questi prodotti tuttavia vengono ancora accolti con un po’ di scetticismo da molteplici professionisti, in quanto per molti il trade-off sostenibilità ritorno non è del tutto lineare. A far cambiare idea a più di qualcuno però potrebbe esserci l’attuale situazione di pandemia provocata da COVID-19.

Infatti si è osservato come nonostante il pesante calo delle borse dovuto alla riduzione sostanziale dell’attività economica, molti fondi ESG abbiano dato dei ritorni comparabili se non addirittura superiori a quelli di molte compagnie tradizionali e indici azionari come lo SP500; un fattore decisamente non di poco conto, soprattutto per un investitore in cerca di sicurezze per il futuro per sé e per gli altri. Si potrebbe infatti dire che questa pandemia sia stata il primo vero test per questi strumenti, che fin ora avevano beneficiato di condizioni economiche favorevoli (soprattutto nel mercato americano). Dimostrando la loro resilienza a movimenti avversi del mercato caratterizzati da un cambiamento drastico nei fondamentali, gli strumenti ESG potrebbero essersi guadagnati la fiducia di molti scettici e aver conquistato definitivamente coloro che già prima erano interessati a questi prodotti. Per questi motivi molti fondi ESG hanno visto un afflusso record di denaro nel primo trimestre 2020, durante il picco della pandemia. Stando a dati Morningstar, i fondi sostenibili hanno visto entrate per $45mlrd su un totale di $384mlrd del mercato globale degli investimenti; un record considerando i valori registrati negli anni precedenti. È stato poi riscontrato come la tendenza ad investire nel sostenibile sia collegata ad un’altra tendenza in movimento da molto più tempo: infatti quasi l’80% del denaro in entrata nel settore è stato investito in fondi passivi, possibilmente spinti da investitori in cerca di acquisti a prezzi convenienti grazie ai minimi raggiunti durante il periodo di massima diffusione della pandemia.

C’è poi un’ulteriore considerazione da fare: ai loro albori le compagnie ESG incentravano il loro marketing e appeal soprattutto nella “E”: Environmental. Ma in un mondo post COVID-19 la situazione potrebbe cambiare: molti investitori sono ora preoccupati non solo come l’ambiente viene trattato, ma anche come le compagnie si comportino nei confronti dei loro dipendenti. Social e Governance potrebbero dunque avere un peso ben maggiore per gli investitori e per le compagnie da adesso e per il futuro; garantire un ambiente di lavoro salutare per i propri dipendenti potrebbe aumentare considerevolmente l’immagine e la stima della compagnia, aumentando di conseguenza il numero di potenziali investitori. Questo fenomeno potrebbe però avere una duplice spiegazione: da un lato si potrebbe pensare a questi investitori come persone che guardano al futuro e in cerca di compagnie in grado di realizzare questa visione nel modo più green e socialmente responsabile che esista. Da un altro lato, qualcuno potrebbe cinicamente ipotizzare come questa preferenza per una governance sostenibile non sia altro che una forma di protezione: nell’eventualità di una seconda ondata di pandemia, le migliori società saranno infatti quelle con la maggiore attenzione al benessere e alla protezione dei propri lavoratori, che saranno incentivati a dare il massimo nonostante i difficili momenti che si potrebbero attraversare.

Quale che sia la versione corretta,  questo tipo di investimenti sembrerebbe essere qui per rimanere nel futuro.  L’idea che le compagnie debbano perseguire i profitti e gli interessi degli azionisti ad ogni costo sta lentamente declinando, passando a quella che alcuni potrebbero definire “stakeholder capitalism”. Che da questo difficile momento in cui ci troviamo in guerra con un nemico invisibile stia per nascere una nuova forma di economia e mercati finanziari dove anche l’attenzione ai vari aspetti della vita influisce pesantemente sull’andamento economico?

Fasolo Alberto

ESG – Ma ne vale davvero la pena?

Un trend in ascesa, un afflusso di capitali in costante crescita ed immensi sforzi da parte delle imprese al fine di uniformarsi alle linee guida del settore: il fenomeno ESG, acronimo per Environmental, Social and Governance, sta decisamente prendendo piede nel settore finanziario, attirando l’attenzione di investitori istituzionali ma anche quella del settore più retail. Ma di cosa si tratta effettivamente? Fenomeno nato a partire degli anni ’90 con l’apparizione dei sustainable reports, da alcuni visti come semplice strumento promozionale, ma di fondamentale importanza per introdurre nel mondo del business la misurazione dell’impatto ambientale e e sociale sulla governance di una impresa , è diventato un vero e proprio approccio all’investimento concentrato verso aziende attive nella promozione di politiche legate allo sviluppo social e ambientale e ad una governance maggiormente inclusiva ed equa.

Da lì un approccio di investimento diverso dal passato, basato sull’esclusione: ponendo barriere e limiti verso determinati investimenti in società la cui condotta è vista come fortemente contraria a valori etici e morali condivisi dalla società. Si crea in questo modo una sorta di portfolio “green” e moralmente accettabile con un’ottima capacità di smuovere immensi capitali. Secondo stime Morgan Stanley, circa 1 dollaro su 4 in mano agli investment manager sono attivi in campo ESG, e circa l’84% degli investitori sta attentamente considerando o già attuando una strategia di investimento seguendo queste linee guida. In realtà la stessa definizione di ESG non è cosi facile, così come la definizione di linee guida comuni condivise dalla categoria: in Italia a definirle ci ha pensato l’AIFI, Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

Non esiste tuttavia un vero e proprio framework comune che permetta di identificare se e a che livello una azienda possa o meno essere considerata rispettosa di tali politiche. Un tentativo di uniformazione è stato fatto in Francia, con l’introduzione dell’etichetta ISR: creata dallo Stato francese, permette di identificare quali siano i fondi effettivamente impegnati in tali attività, dando una certa uniformità nella loro classificazione. Anche le tecniche di selezione degli asset si sono rivoluzionate, con l’introduzione del processo inverso rispetto a quello attuato precedentemente: con lo sviluppo di ranking e valutazione dei fondi, si tende spesso a selezionare titoli che a livello di ESG performano meglio.

Ma anche con standardizzazione ed evoluzione delle tecniche, la selezione dei titoli è ancora soggetta ad un certo livello di discrezionalità. Come deve essere considerata una azienda che opera nella lavorazione del tabacco ma investe in politiche ambientali e sociali? E una società operante nell’energia rinnovabile con nessuna politica di parità dei sessi messa in atto? In Francia l’introduzione dell’etichetta ISR ha portato moltissime aziende ad adottare politiche vicini alle tematiche, e la paura di perdere tale etichettatura con conseguenti danni di immagine e potenziali criticità presso la raccolta di capitali spingono ad adottare politiche più stringenti di quelle effettivamente richieste. Una grande pressione, che tuttavia ha portato nuova attenzione a molte di queste problematiche e alla promozione verso un vero e netto miglioramento sotto molteplici punti di vista: ambienti maggiormente inclusivi, riduzione del gender-gap, attenzione a politiche ambientali e sociali.

E nonostante la generale convinzione che si debba rinunciare alla performance come costo per un mondo migliore, spesso in realtà queste risultano essere molto simili a quelle degli investimenti tradizionali secondo stime dell’IMF in un report del 2019. Simili, ma comunque inferiori, dovute all’esclusione di settori estremamente profittevoli quali l’oil & gas e la lavorazione del tabacco. Viene da chiedersi pertanto se si tratti di una moda o di una nuova rivoluzione in ambito finanziario. Elevato è il rischio di manipolazione dei dati e del reporting, non potendo contare su un quadro normativo stabile e uniforme. Inoltre, non sempre è così chiaro se si tratti di un factor investing realmente efficace rispetto ad altri factor classici più diffusi e resistenti anche in condizioni avverse di mercato. Tuttavia il trend sembrerebbe essere, anno dopo anno, quello di una crescita della loro importanza e considerazione, una generale affermazione sul mercato, lasciando intravedere un futuro nella finanza più “verde” che mai.

Matteo Mamprin