ESG – Ma ne vale davvero la pena?

Un trend in ascesa, un afflusso di capitali in costante crescita ed immensi sforzi da parte delle imprese al fine di uniformarsi alle linee guida del settore: il fenomeno ESG, acronimo per Environmental, Social and Governance, sta decisamente prendendo piede nel settore finanziario, attirando l’attenzione di investitori istituzionali ma anche quella del settore più retail. Ma di cosa si tratta effettivamente? Fenomeno nato a partire degli anni ’90 con l’apparizione dei sustainable reports, da alcuni visti come semplice strumento promozionale, ma di fondamentale importanza per introdurre nel mondo del business la misurazione dell’impatto ambientale e e sociale sulla governance di una impresa , è diventato un vero e proprio approccio all’investimento concentrato verso aziende attive nella promozione di politiche legate allo sviluppo social e ambientale e ad una governance maggiormente inclusiva ed equa.

Da lì un approccio di investimento diverso dal passato, basato sull’esclusione: ponendo barriere e limiti verso determinati investimenti in società la cui condotta è vista come fortemente contraria a valori etici e morali condivisi dalla società. Si crea in questo modo una sorta di portfolio “green” e moralmente accettabile con un’ottima capacità di smuovere immensi capitali. Secondo stime Morgan Stanley, circa 1 dollaro su 4 in mano agli investment manager sono attivi in campo ESG, e circa l’84% degli investitori sta attentamente considerando o già attuando una strategia di investimento seguendo queste linee guida. In realtà la stessa definizione di ESG non è cosi facile, così come la definizione di linee guida comuni condivise dalla categoria: in Italia a definirle ci ha pensato l’AIFI, Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

Non esiste tuttavia un vero e proprio framework comune che permetta di identificare se e a che livello una azienda possa o meno essere considerata rispettosa di tali politiche. Un tentativo di uniformazione è stato fatto in Francia, con l’introduzione dell’etichetta ISR: creata dallo Stato francese, permette di identificare quali siano i fondi effettivamente impegnati in tali attività, dando una certa uniformità nella loro classificazione. Anche le tecniche di selezione degli asset si sono rivoluzionate, con l’introduzione del processo inverso rispetto a quello attuato precedentemente: con lo sviluppo di ranking e valutazione dei fondi, si tende spesso a selezionare titoli che a livello di ESG performano meglio.

Ma anche con standardizzazione ed evoluzione delle tecniche, la selezione dei titoli è ancora soggetta ad un certo livello di discrezionalità. Come deve essere considerata una azienda che opera nella lavorazione del tabacco ma investe in politiche ambientali e sociali? E una società operante nell’energia rinnovabile con nessuna politica di parità dei sessi messa in atto? In Francia l’introduzione dell’etichetta ISR ha portato moltissime aziende ad adottare politiche vicini alle tematiche, e la paura di perdere tale etichettatura con conseguenti danni di immagine e potenziali criticità presso la raccolta di capitali spingono ad adottare politiche più stringenti di quelle effettivamente richieste. Una grande pressione, che tuttavia ha portato nuova attenzione a molte di queste problematiche e alla promozione verso un vero e netto miglioramento sotto molteplici punti di vista: ambienti maggiormente inclusivi, riduzione del gender-gap, attenzione a politiche ambientali e sociali.

E nonostante la generale convinzione che si debba rinunciare alla performance come costo per un mondo migliore, spesso in realtà queste risultano essere molto simili a quelle degli investimenti tradizionali secondo stime dell’IMF in un report del 2019. Simili, ma comunque inferiori, dovute all’esclusione di settori estremamente profittevoli quali l’oil & gas e la lavorazione del tabacco. Viene da chiedersi pertanto se si tratti di una moda o di una nuova rivoluzione in ambito finanziario. Elevato è il rischio di manipolazione dei dati e del reporting, non potendo contare su un quadro normativo stabile e uniforme. Inoltre, non sempre è così chiaro se si tratti di un factor investing realmente efficace rispetto ad altri factor classici più diffusi e resistenti anche in condizioni avverse di mercato. Tuttavia il trend sembrerebbe essere, anno dopo anno, quello di una crescita della loro importanza e considerazione, una generale affermazione sul mercato, lasciando intravedere un futuro nella finanza più “verde” che mai.

Matteo Mamprin

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