Vita e bugie del Reddito di Cittadinanza

Intenzioni e requisiti

Il Reddito di Cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, è stato immesso nel contratto di governo a partire dal 18 maggio 2018. Si tratta di una politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale tramite un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari. Finalizzato al reinserimento lavorativo e sociale, le intenzioni del RdC sarebbero nobilissime. Casomai è il mezzo con il quale è erogata questa politica ad essere inefficiente traducendo il tutto in un (altro) spreco. Vediamo nel proseguo dell’articolo il perché.

Requisiti economico-patrimoniali

Per poter accedere al RdC sono previsti alcuni requisiti economico-patrimoniali: Isee sotto un determinato valore, patrimonio mobiliare e immobiliare limitato, divieto di possedere alcuni beni e un reddito familiare inferiore a 6mila euro (per un nucleo composto da un single) e non superiore a 12.600 euro per i nuclei con più componenti.

Requisiti Reddito di Cittadinanza in breve…

Come si spende il RdC?

Il Reddito di Cittadinanza viene erogato tramite una PostePay (non distinguibile dalle altre per questioni di privacy) ed è possibile pagare beni, prelevare contanti (con un tetto di 100€ al mese) ed effettuare bonifici per il pagamento di mutui o affitti. L’ammontare non speso alla fine del mese è sottratto nella mensilità successiva.

Chi paga il RdC?

A differenza dei sussidi ai poveri arrivati agli italiani Illo tempore grazie al piano Marshall, non si tratta più di soldi provenienti dall’estero e nemmeno di contributi dell’Unione europea: le fonti del Reddito di Cittadinanza sono denaro proveniente dalle casse erariali dello stato. In buona sostanza, non avendo lo stato italiano un avanzo di gestione, si tratta di denaro che viene ottenuto grazie alla vendita di titoli pubblici (BOT e BTP). Per il suo finanziamento il Reddito di Cittadinanza attinge anche da imposte dirette (Irpef, Ires), e indirette come l’IVA. Una parte di questi soldi, quindi, verrà restituita agli italiani più poveri non solo per garantire condizioni socialmente dignitose, ma anche con la speranza che questi li spendano, rimettendo in circolo ciò che è stato loro dato (e, con esso, l’economia nazionale).   

Da questo punto di vista, il reddito di cittadinanza funge da strumento di redistribuzione del reddito non solo per garantire condizioni socialmente dignitose, ma anche come stimolo del mercato interno per l’economia nazionale.

Impatto del volano Keynesiano

La visione keynesiana e interventista dell’economia, sta spingendo molti leader politici ad approfondire il ruolo dell’intervento pubblico, in particolare degli investimenti infrastrutturali come strumento per combattere la stagflazione. Questo ha ridato forza alle tesi di molti economisti circa la possibilità di poter uscire dalla crisi per mezzo delle politiche cosiddette ‘’keynesiane’’, figlie di uno degli economisti più in vista del ‘900.

Ma cosa sostengono le politiche keynesiane?

Keynes, padre della macroeconomia, ha spostato l’attenzione dell’economia dalla produzione di beni alla domanda aggregata, osservando come in talune circostanze quest’ultima sia insufficiente a garantire la piena occupazione.

Questi aveva sostenuto che 1 sterlina data all’impresa si moltiplica sull’economia nazionale: l’azienda che può disporre di maggiori entrate tende a investire (la propria vocazione è infatti aumentare il proprio business) e ad assumere altre persone. Il che significa più stipendi pagati e più lavoratori disposti a spendere per i propri bisogni familiari. La maggiore spesa si risolve anche in un aumento delle entrate fiscali per lo Stato, grazie alle imposte dirette e indirette. È celebre un suo annuncio alla radio nel ’31: << Oh, massaie che avete amor di patria, uscite domani di buon’ora per strada e andate alle magnifiche svendite, e abbiate il piacere aggiunto di sapere che state aumentando l’occupazione e contribuendo alla ricchezza del paese>>.

Conseguenze delle politiche di interventismo statale

Nel breve periodo, l’erogazione di un reddito di cittadinanza potrebbe avere un impatto positivo su produzione e occupazione, sebbene più contenuto rispetto ad un investimento pubblico in infrastrutture.

Nel lungo periodo, invece, una volta esauritisi gli effetti di breve termine delle politiche, per ripristinare gli effetti positivi dell’assistenzialismo, sarebbe necessario sostenere un investimento di consistenza ancor maggiore del precedente, con conseguente aggravamento del deficit di bilancio e, in prospettiva, con un notevole aumento del debito.


Analisi tecnica del Reddito di Cittadinanza

Secondo uno studio promosso dall’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica, per valutare il Reddito di Cittadinanza bisogna approfondirne due aspetti: la valutazione della soglia di povertà e il trade-off con il lavoro.

Valutazione della soglia di povertà

Per effettuare il confronto, lo studio analizza tutti i paesi dell’Unione Europea e confronta l’Italia con tutti gli altri 27 paesi (Regno Unito compreso). 

La soglia individuata dal disegno di legge corrisponde a quella di povertà che era stata prevista per il 2014, così come definita da Eurostat, pari a 780€ mensili per una persona singola (con i dati 2016, questa si è alzata a 812€). Nel disegno di legge si prevede che tutte le persone che percepiscono un reddito netto inferiore a tale soglia raggiungano attraverso un trasferimento dallo stato un reddito di 780€. Quindi, se una persona dichiara un reddito di 400€, altri 380€ gli verrebbero versati dallo Stato.

Spiegazione attraverso il grafico del rapporto tra soglia di povertà e reddito minimo garantito in ogni paese EU

In nessun paese UE esiste un trattamento simile. L’Italia sarebbe l’unico paese in cui il reddito garantito sarebbe uguale alla soglia di povertà ed è qui che fuoriesce il concetto di trade- off con il lavoro approfondito nel prossimo paragrafo.

Grafico che evidenzia il rapporto tra reddito minimo e reedito medio pro-capite

Trade-off con il lavoro

Oltre a un livello di sussidio relativamente elevato, il rischio di un effetto perverso sull’offerta di lavoro proviene anche dal minore collegamento previsto tra il beneficio e la partecipazione in programmi di attivazione e/o accettazione dell’offerta di lavoro. Le previsioni parlavano di un milione in meno di disoccupati, ed è accaduto il contrario: chi prende questo sussidio smette di cercare lavoro. Prima del RdC, un’entrata seppur minima andava guadagnata, mentre ora la ricerca di un impiego è resa sconveniente dallo strumento.

La SVIMEZ, afferma che l’impatto del Reddito di Cittadinanza sul mercato del lavoro non solo è stato nullo, ma per certi versi negativo: “Con l’entrata in vigore del RdC ci si aspettava un aumento del tasso di partecipazione e del tasso di disoccupazione che nei cinque mesi trascorsi non c’è stato. Anzi, le persone in cerca di un’occupazione si sono ridotte di circa 2-300mila unità.”.

La trappola della povertà – Un esempio oltreoceano

L’Earned Income Tax Credit statunitense è un tipo di sussidio che aiuta i cosiddetti working poors, i quali ricevendo una quota di sussidio per le ore lavorate sono incoraggiate ad entrare nel mercato del lavoro e a ricevere un aiuto se e solo se il reddito non fosse sufficiente al nucleo familiare.

Il reddito di cittadinanza in Europa

In Europa, numerosi Paesi hanno da tempo introdotto forme di reddito minimo garantito al fine di assicurare condizioni di vita dignitose alla maggior parte dei cittadini. Tali trasferimenti hanno le stesse ambizioni del RdC ma sono attuati in modi diversi.

Germania

In Germania sono previste tre diverse misure in favore dei cittadini tedeschi, rifugiati politici e stranieri dei paesi Ue che hanno sottoscritto il Social Security Agreement. La durata di queste forme di sostegno è illimitata, ma ogni 6 mesi è previsto un controllo per verificare la permanenza dei requisiti richiesti per l’erogazione. Gli abili al lavoro devono seguire programmi di reinserimento lavorativo e accettare offerte lavorative congrue.

Danimarca

In Danimarca è adottato il modello dell’assistenza sociale che prevede il riconoscimento a chi ha compiuto 25 anni di 1.325 euro (l’aiuto per l’affitto è a parte) e 1.760 per chi ha figli. Gli abili al lavoro devono cercare un’occupazione e accettare offerte congrue alla loro formazione, in caso contrario il sostegno è sospeso. Il sussidio, chiamato ‘kontanthjælp’, è tassabile e in caso di assenza dal lavoro senza giustificati motivi è ridotto in base alle ore perse.

Francia

In Francia al Revenu de Solidarité Active ha diritto chi è residente da più di 5 anni e ha compiuto 25 anni o chi è più giovane purché con un figlio e 2 anni di lavoro curricolare. L’aiuto dura 3 mesi, è rinnovabile e cresce con l’aumentare del numero dei figli. Il beneficiario deve dimostrare di cercare un’occupazione e di partecipare a programmi di formazione. L’importo del beneficio diminuisce con l’aumentare del reddito da lavoro.

Inghilterra

Nel Regno Unito il reddito minimo è garantito solo previa verifica del reddito dei richiedenti. L’Income Support è previsto per aiutare chi non ha un lavoro full time e vive sotto la soglia di povertà. Se permangono le condizioni di indigenza è illimitato anche se varia in base all’età, alla composizione della famiglia, alla presenza di eventuali disabilità e alle risorse a disposizione dei beneficiari. Per gli iscritti nelle liste di disoccupazione è previsto un aiuto specifico purché il candidato si rechi ogni due settimane in un Jobcenter e dimostri che sta cercando attivamente un impiego. Lo Stato aiuta anche chi deve pagare l’affitto e ha figli. L’income support parte da 57,90 sterline a settimana e può arrivare sino a 114,85 sterline a settimana.

Due anni di RdC (in numeri).

Grafico dei nuclei percettori del reddito di cittadinanza negli ultimi 2 anni

I nuclei familiari che percepiscono il Reddito di Cittadinanza a marzo 2021 sono 1,04 milioni, per un importo medio di €584.

Chi sono i beneficiari

A marzo 2021 a prendere il Reddito di Cittadinanza erano 887mila nuclei familiari di cittadini italiani, 46.780 di cittadini europei e 98.900 di cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno. I primi prendono un importo medio di 595 euro, i secondi di 563 euro e i terzi di 502 euro.

La maggioranza relativa dei nuclei familiari (479mila) che prende Reddito o Pensione di Cittadinanza è in realtà costituita da una singola persona. Hanno due componenti 220mila nuclei, tre componenti 186mila, quattro componenti 150mila, cinque componenti 66mila e sei o più componenti 30mila. Circa un terzo dei nuclei ha almeno un minore e l’importo nelle famiglie con minori è mediamente pari a 670 euro contro i 501 euro delle famiglie senza minori.

La distribuzione geografica

La popolazione coinvolta dalle due misure è molto variabile a livello regionale. Il massimo lo si ha in Campania con l’11,7% della popolazione coinvolta, mentre il minimo in Trentino Alto Adige con lo 0,6%. Complessivamente il RdC e la PdC coinvolgono l’1,6% della popolazione nel Nord, il 2,9% nel Centro e il 9,0% nel Sud. L’importo medio è pari a 589 euro al Sud, a 518 euro al Centro e a 488 al Nord. Il Trentino Alto Adige con 395 euro è quella con l’importo medio minore e la Campania con 625 euro quella con l’importo maggiore.

Mappa che evidenza la percentuale della popolazione coinvolta da Reddito o Pensione di Cittadinanza

I navigator

La parola “navigator” entrò nel dibattito pubblico alla fine del 2018, quando Luigi Di Maio ne parlò durante una trasmissione televisiva. Di Maio spiegò che i navigator sarebbero stati dei “facilitatori”, assunti per lavorare nei Centri per l’impiego con il compito di aiutare i beneficiari del reddito di cittadinanza a trovare un lavoro. Dopo un’articolata selezione, ne furono assunti 2.978.

Secondo un comunicato stampa rilasciato dall’Anpal nel 2020 erano circa 196 mila i percettori di reddito di cittadinanza che avevano trovato lavoro, su una platea di 1 milione e 49 mila persone: il 19 per cento. Un risultato un po’ deludente a fronte della spesa sostenuta.

Ad oggi, tuttavia, nella legge di bilancio non è stato previsto il loro rinnovo del contratto. Al loro posto vi saranno agenzie per il lavoro iscritte all’Albo.

Scritto da De Ambrosi Umberto

“Quando l’oceano si arrabbia” – Intervista a Luciano Canova

Il 4 giugno scorso usciva “Quando l’oceano si arrabbia. Keynes per chi non l’ha mai letto”, un libricino che, in poco più di un centinaio di pagine, non solo riesce a delineare la biografia di una delle più grandi menti dell’economia del Novecento, John Maynard Keynes, ma è anche capace di inserirsi nel discorso contemporaneo sull’economia e sul ruolo che gli economisti hanno nella nostra società. L’autore è Luciano Canova: economista comportamentale, docente alla Scuola di Studi Superiori Enrico Mattei e divulgatore.

“Ho scelto proprio Keynes perché per un economista è come Star Wars per il resto del mondo: potete averlo visto oppure no ma, volenti o nolenti, anche se non avete idea di chi sia Darth Vader e Yoda vi sembra il nome di un succo di frutta biologico, le perturbazioni della forza, in qualche modo, avranno trascinato anche voi dentro una struttura narrativa irresistibile”. Più avanti citi il celeberrimo “nel lungo periodo siamo tutti morti” e fai riferimento al fatto di scavare buche e poi ricoprirle solo per far ripartire l’economia. Qual è il misunderstanding più comune riguardo a Keynes, alle sue teorie e a come sono percepite dal pubblico?

Keynes è tra gli economisti che comincia a lavorare quando di fatto non c’erano facoltà di economia, per cui il primo misunderstanding è quello che riguarda la sua laurea, che non è in economia, ma in matematica. È fondamentale sottolineare anche che Keynes, per la formazione che ha, considera la filosofia molto importante. Numerosi economisti dell’inizio del XX secolo si trovano dentro all’alveo della filosofia, perché l’economia nasce – e secondo me rimane per tanti aspetti – una scienza morale.

Il problema di Keynes e di altri autori è che vengono ridotti a citazioni, cioè si conosce veramente poco di loro. “Nel lungo periodo siamo tutti morti” è una frase che arriva in un momento nel quale Keynes vuole spiegare che cosa deve fare secondo lui un economista: deve sporcarsi le mani con la realtà, arrivare con l’evidenza empirica a costruire un giudizio, formulare proposte e soprattutto rischiare, osare.L’economia non è una scienza che deve guardare a modelli di lunghissimo periodo, con i quali l’unica risposta che puoi dare è che quando passa la tempesta il mare torna calmo, ma – ed è per questo che ho intitolato il libro così – è proprio quando l’oceano si arrabbia che l’economista deve intervenire direttamente sulla realtà. Da questo contesto nasce la frase spesso citata, ma non nella sua completezza, “nel lungo periodo siamo tutti morti”.

Per quanto riguarda le buche, è chiaramente un’iperbole, una metafora per arrivare al grande pubblico, per dire che in certi contesti, quando l’economia è completamente immobile, anche i lavori che sembrano improduttivi possono trasformarsi in un investimento proficuo. Però non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, perché per Keynes – che rimane un liberale – l’investimento deve essere il più possibile vantaggioso. È una persona che crede nell’intervento pubblico come motore d’investimento e di sviluppi produttivi, ma crede anche nella sostenibilità delle finanze pubbliche, questo è molto importante sottolinearlo.

Una caratteristica di Keynes, che emerge fin da subito dal ritratto che ne fai, è la sua fermezza nel dichiarare le proprie idee e nello schierarsi nel dibattito pubblico. Credi che ci siano figure di questo tipo anche oggi, “in un tempo […] in cui si sente fortissima l’esigenza di affrontare le cose con competenza e coraggio”?

Noi viviamo in un tempo interessante, caratterizzato dalla disintermediazione: internet consente a tutti di dire la propria opinione. Questo porta a dei vantaggi enormi in termini di democratizzazione del dibattito pubblico, ma ha messo in crisi la fiducia che le persone manifestano per le persone competenti.

Io credo che gli influencer rappresentino uno strumento utile e Keynes era un influencer ante litteram, perché partecipava ai salotti e capiva il ruolo che ha la comunicazione, quindi aveva un impatto tremendo sul dibattito pubblico. La stessa cosa fa per esempio Chiara Ferragni: quando va agli Uffizi e si mostra agli Uffizi con Fedez sta ricoprendo bene il ruolo di influencer, così anche per gli interventi che ha fatto per quanto riguarda l’attualità. Ora, è vero che Chiara Ferragni non ha competenze specifiche per quanto riguarda l’economia, però possiamo dire che l’influencer in generale è un nodo della rete che riesce a veicolare un messaggio che diventa un messaggio di impatto.

Se invece devo fare un nome che in economia possiede spessore anche comunicativo, dico senza dubbio Mario Draghi, l’ex governatore della Banca Centrale Europea. È una persona che, per autorevolezza, autorità e competenze, ha la capacità – come Keynes – di entrare nel dibattito, muoverlo e sensibilizzare i decisori pubblici. Rispetto a Keynes è meno sarcastico – egli è spesso ironico e feroce anche – ma questo dipende anche dal ruolo che ricopriva.

Fin dall’introduzione sottolinei come ti stia a cuore presentare l’economia come una scienza e più avanti nel libro evidenzi come i professori, gli esperti di economia, debbano essi stessi farsi promotori di questa scientificità. Credi che attualmente non lo si stia facendo abbastanza?

L’economia è una scienza sociale, quindi ha a che fare con grandezze non scalari, con gli esseri umani, che sono complessi e imprevedibili, quindi molti scienziati cosiddetti “duri”, cioè fisici, chimici o i biologi per esempio, storceranno il naso all’idea che un economista si consideri uno scienziato, ma è vero che anche l’economia, come scienza sociale, può usare il metodo scientifico per avanzare e produrre maggiore conoscenza.Scienza appunto vuol dire metodo, vuol dire incertezza strutturale, dunque non l’arroganza di pretendere che, sulla base di una qualche autorità, si arrivi ad una verità assoluta, ma a una conclusione che possa essere legittimata, irrobustita, argomentata e difesa attraverso l’uso del dato; questo, secondo qualsiasi economista che faccia bene il suo lavoro, è fare economia.

Credo che dal 2008 – cioè da quando ha cominciato a crescere una certa diffidenza verso l’economia e gli economisti – questa disciplina abbia fatto un esame critico di sé stessa e sia stata capace di ripensarsi, anche didatticamente. Penso che ora all’interno delle facoltà ci sia una predisposizione critica allo studio e alla messa in discussione dei modelli tradizionali, per l’avanzamento della conoscenza secondo modelli più scientifici, dunque io direi che questo tipo di promozione la si stia facendo abbastanza.

Ora il rischio – e non solo in ambito economico ma anche per le altre discipline – è quello di cedere troppo alla visibilità: gli studiosi che vengono ospitati nei programmi televisivi si trovano a dover veicolare un messaggio che deve essere semplificato e può accadere che venga semplificato troppo, al costo di perdere la credibilità che deriva da studi complessi.  Deve esserci un bilanciamento, perché c’è una forte domanda e una grande esigenza di comunicazione scientifica e di semplificazione, però questo non significa banalizzare. Tutti i divulgatori corrono questo rischio, perché bisogna adattarsi a un pubblico che non ha lo stesso livello di conoscenze. Ciò che è importante è riconoscere la propria fallibilità ed avere l’onestà intellettuale di citare le fonti e affermare chiaramente, quando si tratta di ipotesi, che non si tratta di conclusioni.

Raccontando la storia di Keynes, non manchi mai di fornire un contesto storico alle sue vicende. Quanto è importante il contesto storico per quanto riguarda le teorie economiche?

Credo che la storia sia imprescindibile per qualsiasi disciplina, a maggior ragione per l’economia, di cui la storia è intrinsecamente costituita. Prendendo l’esempio di Keynes: è importantissimo conoscere la storia della sua vita e il periodo storico in cui ha vissuto, per evitare di proiettare staticamente, quasi ottant’anni dopo la sua morte, il pensiero di una persona che non c’è più, che ha vissuto in una realtà che non c’è più. La storia è imprescindibile per comprenderne meglio il pensiero e soprattutto per capire gli spunti che ne hanno dato origine. Tra l’altro, la storia viene utilizzata sempre più in economia per gli esperimenti naturali ossia quelle situazioni in cui la storia stessa crea delle condizioni che sono simili a quelle di un esperimento; in questo caso quindi la storia diventa essa stessa strumento di analisi.

Scrivi: “Il mio intento è servirmi del cavallo di Troia Keynes e della sua storia bellissima per parlare dell’economia e degli economisti”. Perché è così necessario parlare di economia oggi? Quanto è importante l’alfabetizzazione economica?

Parlare di economia è importantissimo, perché, come la storia, plasma e permea le nostre vite. C’è una grande domanda da parte delle persone di capire quello che succede e poi, banalmente, noi viviamo motivati dalla ricerca del denaro in quanto mezzo per accedere a molte altre cose: la maniera in cui noi decidiamo di utilizzare quel denaro è una faccenda economica. Anche le scelte che non hanno a che fare con il denaro, quando soppesiamo le opzioni, i pro e i contro, sono economia a tutti gli effetti.

Perché tante persone “non addette ai lavori” percepiscono l’economia in primis non come una scienza, ma anche come qualcosa di astruso e lontano dalla realtà? E perché questo accade, in particolare modo in Italia, rispetto che ad altri stati in Europa e nel mondo?

Indubbiamente l’economia, a me per primo, ispira sempre pensieri negativi. Questo perché in molti casi non si conosce: infatti a scuola è in programma solo in alcuni istituti tecnici e in qualche liceo sperimentale. Questo è molto grave, perché un minimo di educazione economico-finanziaria dovrebbe essere portata avanti fin dalle superiori, se non dalle medie.Molti studi mostrano come l’educazione finanziaria deve partire fin da piccolissimi, perché quei meccanismi di scelta tra varie opzioni o di gestione di un piccolo budget si sviluppano già in giovane età. Quindi penso che in primis ci sia un problema a livello scolastico, che contribuisce a generare ignoranza in materia e quindi sospetto.

Un altro problema è che dentro alla parola “economia” ci si fa ricadere dentro di tutto e sembra che dietro alla finanza si nascondano solo speculatori, ladri e truffatori. Bisognerebbe fare una comunicazione migliore, perché la finanza, per esempio, è lo strumento che dà allo stratupper la possibilità di ricevere quei fondi che gli consentono di realizzare il sogno; senza il capitale di rischio che premia l’impresa non c’è nemmeno mobilità sociale. Noi economisti per primi dovremmo attuare una comunicazione diversa e far capire che la finanza non è solo speculazione e che l’economia comprende molte cose.

Ci puoi dare qualche anticipazione riguardo ai tuoi prossimi progetti e ad un eventuale prossimo libro?

Sto già lavorando ad un libro che uscirà la prossima primavera: si tratta della versione cartacea del podcast Favolosa Economia, nel quale, utilizzando le metafore delle favole e delle saghe provo a spiegare alcuni concetti di economia e finanza.