Intervista a Monica Vitali – Gruppo Cambielli Edilfriuli

Laureata con lode in Economia e Commercio a Bologna, conseguito un master in Comunicazione d’Impresa e maturati 20 anni di esperienza nella contabilità aziendale, Monica Vitali si occupa attualmente di controllo di gestione, bilanci e bilancio consolidato per il Gruppo Cambielli Edilfriuli, è inoltre sindaco revisore e membro di due organismi di vigilanza.

Dall’esigenza di condividere le sue preziose competenze è nato, sette anni fa, il blog Cum Grano Salis (e la pagina Instagram dedicata) con il quale cerca di spargere il verbo dell’economia e della finanza anche tra i non addetti ai lavori, di diffondere “la mentalità contabile”, come la chiama lei.

L’abbiamo intervistata per sapere, alla luce della sua esperienza, qual è la via da percorrere per costruire una carriera di successo.

Monica Vitali si occupa attualmente di controllo di gestione, bilanci e bilancio consolidato per il Gruppo Cambielli Edilfriuli

Creazione di valore is the Way

Ciò che emerge dalle sue è che oggi più che mai ci si deve affacciare al mondo del lavoro in un’ottica di creazione di valore: “la contabilità di per sé è un lavoro che si andrà sempre più ad automatizzare e avrà sempre meno valore aggiunto, mentre importantissimo è il controllo di gestione, cioè l’analisi dei dati. Sarà sempre più importante: oggigiorno non si può più prescindere dall’avere dei dati ed analizzarli.”

Il problema è l’enorme mole di dati disponibili, infatti “prima bisognava andarli a cercare, adesso invece sono troppi, quindi ci vogliono proprio delle persone che siano in grado di capirli ed estrapolare le informazioni utili. In un mondo sempre più veloce e sempre più interconnesso devono essere facilmente visibili, facilmente comunicabili, le informazioni devono essere chiare, poche ma buone, insomma.”

Il controllo di gestione sta emergendo come professionalità importante anche nelle piccole imprese, nelle quali, oltre all’attività di analisi in sé, è importante avere la capacità di comunicare con l’imprenditore stesso, che molte volte non ha un mindset orientato all’analisi, e con le altre figure presenti all’interno dell’azienda. “Anche nelle attività molto piccole – dove prima si demandava tutto al commercialista – sarà sempre più importante invece una figura in grado di capire, non tanto come si fa la contabilità generale, ma quella analitica.”

Gli organismi di vigilanza (leggi qui) possono diventare anch’essi uno sbocco da prendere in considerazione, non solo per chi proviene da facoltà giuridiche: “qui ci può essere uno spazio interessante anche per gli studenti di economia, proprio perché adesso sono stati aggiunti i reati tributari, ma anche per come vengono impostati questi modelli organizzativi, e questi organi. Oltre al Presidente, che normalmente ha una formazione giuridica, infatti, all’interno degli organismi di vigilanza ci sono anche altri membri. Più sono variegate le personalità al loro interno e meglio è, perché ognuno dà il proprio apporto. Secondo me aumenteranno le società che li adotteranno, perché il legislatore sta spingendo molto in questa direzione, aumentando sempre di più reati inseriti, ed è una cosa che ancora pochi conoscono o in cui si sono specializzati.”

L’importanza del personal branding

È importante poi – sia per chi desidera entrare in azienda, sia per chi vorrebbe percorrere la strada della libera professione – costruirsi un profilo dinamico e unico, che metta in risalto le potenzialità della propria figura e il valore aggiunto che si può fornire al cliente o all’impresa.

“La presenza social è fondamentale, soprattutto su Linkedin, per il personal branding. Anche se alla fine decidi di lavorare in un’azienda, devi avere un paracadute, perché il posto fisso sappiamo che non esiste più. Quindi se ti sei costruito un tuo personal brand sui social sarai sempre e comunque apprezzato e troverai più facilmente contatti e stimoli” dunque il consiglio è di dedicargli del tempo anche dopo essere entrati nei meccanismi del mondo del lavoro.

Ma, si sa, una bella vetrina serve a poco, se al suo interno non c’è nulla. È essenziale, infatti, costruirsi un bagaglio di competenze non solo in ambito accademico, ma anche in quello lavorativo, che è totalmente diverso e può fornire capacità – come l’abilità di relazionarsi con gli altri o l’autorevolezza nel saper gestire un team – che non è possibile acquisire altrimenti. Crescere in questo senso è possibile, a prescindere dalle esperienze che si fanno, “non bisogna disdegnare i lavori troppo umili, perché se tu hai le antenne dritte sono anche quelli che ti permettono di capire come funziona il lavoro, come funziona l’azienda”, ciò che fa la differenza, quindi, è soprattutto la disposizione ad imparare e di mettersi in gioco. Insomma, è l’atteggiamento che può trasformare l’esperienza più banale in “una grandissima opportunità, se uno la sfrutta per imparare qualcosa” e far emergere un profilo agli occhi dei recruiter.

Discriminazione & Co.

La questione “discriminazione” è purtroppo un tasto dolente: i datori di lavoro troppe volte tendono a scegliere gli uomini perché presuppongono che siano disposti ad investire di più sul lavoro, che siano più disponibili a spostarsi, più dinamici, in altre parole più coinvolti. Questo in parte forse é vero, nel senso che per molte donne la carriera è ancora solo uno di molti aspetti della loro vita, dunque a volte “lasciano la presa” più facilmente, mentre per gli uomini spesso il lavoro è l’unica sfera di realizzazione personale, quindi tendono a investirci di più. Questa asimmetria – e soprattutto il pregiudizio che essa genera rispetto le diverse attitudini al lavoro di uomini e donne – è giusto che venga ribilanciata, in modo tale che tutti possano seguire le proprie inclinazioni e i propri desideri, senza essere vittima di pressioni sociali o pregiudizi. Intanto, ciò che le ragazze possono fare per emergere è dimostrarsi capaci, avere uno spirito di collaborazione e non di competizione con le altre donne, prendere consapevolezza delle loro capacità e soprattutto credere in loro stesse.

Parola chiave: passione

In generale, ma questo vale per donne e uomini, quando si costruisce un percorso lavorativo “è opportuno capire quello che si vuole fare” ma, soprattutto, non avere “preclusioni mentali, perché la carriera si può anche formare sommando piccoli pezzi provenienti da varie parti”, dal momento che si va sempre di più nella direzione della promozione della propria figura nella sua interezza e nella sua originalità. Qualunque cosa si faccia ci si deve mettere passione, impegno e curiosità, perché è ciò che fa davvero la differenza.

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Ami F: la tua amica che lavora in banca!

Ami F. è bancaria da oltre vent’anni ed ha deciso di mettere a disposizione le conoscenze acquisite durante la sua florida carriera con chi di banca sembra non capirne poi molto: un anno fa è nato @pecuniami , una pagina Instagram dedicata alla divulgazione e all’educazione finanziaria aperta a tutti, ma destinata in modo particolare alle donne, che, a causa di retaggi socioculturali, sono le persone che più faticano a familiarizzare con la gestione del denaro.

Ma andiamo con ordine, perché la storia di Ami è tutt’altro che scontata.

Ami F. bancaria con vent’anni di esperienza, fondatrice di @Pecuniami

Un inizio in salita

“Sono nata e cresciuta a Salò sul lago di Garda, in Provincia di Brescia. Ho frequentato il liceo classico: a me non piaceva la matematica quindi ho provato a fare qualsiasi cosa che non avesse a che fare con i numeri. All’università ho fatto giurisprudenza con il vecchio ordinamento, quello che permetteva di laurearsi in 4 anni. Ho scelto l’indirizzo internazionale, perché il mio obbiettivo era lavorare in una ONG, o in Unione Europea o in generale in diplomazia. Mio padre è morto quando ero piccola, lavorava solo mia madre ed io sono la prima di tre fratelli, quindi fondamentalmente dovevo lavorare per portare avanti l’università” racconta, spiegando che fin da subito si ritrova a svolgere lavoretti di ogni tipo, a studiare la sera ed il weekend, a dover rinunciare all’Erasmus e alla tipica vita sociale universitaria (e agli spritz, aggiungeremmo noi cafoscarini). “Però avevo trovato un escamotage per viaggiare: nei periodi in cui non avevamo esami, me ne andavo per tre o quattro mesi all’estero a fare la ragazza alla pari ed imparare le lingue”.

Sono stati anni di sacrifici, che non ha vissuto nel migliore dei modi, ma che, a posteriori, riconosce essere stati una parte cruciale della sua formazione, che l’hanno aiutata ad essere ciò che è diventata. “Sinceramente posso dire, guardando anche le carriere che hanno avuto molti dei miei coetanei, che è andata bene così. Acquisire esperienze lavorative durante l’università – e non esiste lavoro serio e lavoro meno serio, tipo McDonald’s – permette di avere a che fare con un mondo che all’università non si impara”.

È chiaro infatti come le esperienze che Ami accumula sul campo durante gli anni di studio le permettano, una volta laureata, di avere già quattro anni di gavetta (rispetto ai suoi colleghi che invece partivano da zero) e dunque di avere accesso a posizioni “più senior” rispetto a quelle offerte ai neolaureati freschi di proclamazione.

Plot twist

Ma come è approdata in ambiente bancario a partire da una formazione umanistica? Potremmo dire che Ami, armata di intraprendenza e forza d’animo, ha fatto di necessità virtù. “Ho iniziato ad avvicinarmi alla banca facendoci “la stagione” durante l’estate nei miei anni di studio” spiega. Erano i primi anni 2000, non c’era ancora l’euro e, sul Lago di Garda, ogni estate, si riversavano migliaia di turisti da tutto il mondo, portando con sé le loro valute pronte per essere cambiate. Le banche quindi si trovavano a dover gestire un’immensa mole di lavoro concentrata nei mesi della bella stagione e dunque ad assumere dipendenti in più a tempo determinato. “Un amico che studiava Economia e Commercio mi ha detto che aveva già lavorato in questo modo e io, dato che volevo provare [qualcosa di nuovo] e in più davano anche un sacco di soldi, ho provato a fare dei colloqui.”

Il lavoro non le piace, lo trova noioso, ma dato che pagano bene, decide di rimanere quando le rinnovano per più volte il contratto. Non solo, rimane anche una volta finiti gli studi: “le professioni all’estero richiedevano un investimento non da poco, perché se volevi lavorare in una ONG, voleva dire entrarci e rimanerci da non pagata per un sacco di tempo, se volevi lavorare nelle istituzioni europee dovevi preparare i concorsi, il che significava fermarsi per diversi mesi, cosa che io non potevo permettermi. Mi sono detta “va bene, se in banca per un po’ ci devo restare facciamo però che sia a modo mio”. Il mio modo di vivere lavoro in banca da quel momento è cambiato ed ho iniziato ad impegnarmi per riuscire a fare carriera e in generale a crescere, dato che cerco sempre di uscire dalla mia zona di comfort”.

Questo atteggiamento proattivo ha permesso ad Ami notevoli avanzamenti di carriera: oggi, dopo vent’anni, è diventata NPL Senior Manager, si occupa cioè di ideare progetti per grandissime aziende in difficoltà, che consentano loro di creare valore e ricchezza, al fine di ripagare i loro debiti senza incorrere nel fallimento.

Ami spiega che non si è mai sentita vittima di discriminazione, anche perché, avendo scelto di non avere figli e dare maggior spazio al suo percorso professionale, non ha dovuto affrontare il problema maternità-lavoro: in effetti questo avrebbe complicato parecchio le cose, dato che, in Italia, le politiche a sostegno della famiglia sono praticamente inesistenti. “Ho avuto più difficoltà nel mio nuovo posto di lavoro, dove ci sono pochissime donne e sono tutte subordinate. Mi è spiaciuto tanto perché anziché riuscire ad instaurare dei rapporti di solidarietà, mi sono trovata nella situazione in cui ci sono tante donne che remano contro altre donne per invidia. Io a quello non ero preparata e mi ha disturbato parecchio” racconta, invece, riguardo alle sue ultime esperienze. Trovarsi di fronte a “uomini che odiano le donne” è già più frequente, mentre incontrare ostilità da parte femminile – che suona quasi come un tradimento – non le era mai capitato prima. “Non è che colpendo la collega a livello superiore che avrai un vantaggio, perché tutti gli uomini che sono attorno vedranno solo delle gatte che si azzuffano. L’ho trovato veramente svilente a livello professionale.”

In ogni caso però, ogni esperienza, anche quella più negativa, può rivelarsi utile per la propria crescita. Come spiega nella newsletter di novembre (per iscriverti clicca qui), lo “sconfort” può tirar fuori i nostri superpoteri.

“Ti racconto questa storia perché fa veramente capire che quando entri in un posto nuovo devi in ogni caso “sbatterti tanto”. Ero in cassa nella località turistica dove lavoravo, e all’epoca si usavano i traveler’s cheque, assegni che richiedevano la doppia firma per il cambio valuta per i turisti. Arriva un signore (che si chiamava signor Rosling) con questo tipo di assegno, faccio le varie operazioni di cambio – serviva il documento, era una procedura d’incasso piuttosto impegnativa – e se ne va. A fine giornata riguardo gli assegni e vedo che nel suo non c’era la firma: si era dimenticato di controfirmare, quindi voleva dire che non potevo incassarlo. Allora io, che avevo la fotocopia del passaporto di questo signore, ho iniziato a chiamare tutti gli alberghi, per vedere se alloggiava da qualche parte, così avrei potuto andare da lui per fargli firmare l’assegno. Ho passato dalle cinque alle otto di sera a cercare questo Rosling che alla fine non ho trovato. Ma le cose che mi ha insegnato questo primo errore sul lavoro sono state

1. Se sbagli sopravvivi (vabbe’, ci avevo rimesso 200mila lire, ma ero comunque sopravvissuta)

2. Non mollare mai nel cercare di sistemare questo errore.

3. Sbattiti, sbattiti, sbattiti! Perché comunque, quando si inizia un lavoro queste sono esperienze che ti insegnano tantissimo su come lavorare.”

Consigli pratici

Oggi, le caratteristiche imprescindibili per lavorare in ambito bancario sono sicuramente una grande elasticità mentale e un forte senso pratico, cioè quelle skills che si acquisiscono fuori dalle aule universitarie. In più, non è necessaria una formazione in ambito strettamente economico-finanziario (lei stessa, del resto, ne è l’esempio lampante): “ormai in banca vengono ricercate figure professionali che vanno dall’ingegnere al giurista, anche chi ha fatto lettere può trovare il suo posto, perché non in tutti i casi è richiesta una formazione economica. La laurea in Economia e Commercio non solo non è più strettamente necessaria, ma addirittura neanche più sufficiente: quello che studi ti serve in maniera relativa e chi lavora in banca deve essere una persona molto elastica, aperta e pronta ad aggiornarsi in maniera smart.”

Il consiglio che Ami dà a tutti quelli che intendono intraprendere una carriera professionale in quest’ambito è “vivi fuori [dall’università] e impara ad avere a che fare con persone di ogni tipo e ogni livello, perché non puoi mai sapere chi incontrerai come compagno di scrivania o chi sarà il tuo capo.” Inoltre, è importantissimo creare per sé stessi un profilo definito, concentrarsi in modo specifico sulla posizione che si vuole ricoprire e specializzarsi in quella direzione, in modo tale che i recruiter si facciano una idea ben precisa di quale potrebbe essere il tuo ruolo.

@Pecuniami

Il progetto @pecuniami nasce un anno fa (tra qualche giorno infatti la pagina festeggerà il suo primo compleanno), ma la sua incubazione ha avuto origine tempo prima. Tutto nasce quando Ami decide di partecipare ad un evento di empowerment femminile a Milano, dove incontra e si confronta con moltissime donne imprenditrici. “La maggior parte delle persone che erano lì producevano cose bellissime che io non ero in grado di fare, ma avevano problemi con la gestione dei soldi, non riuscivano a farsi dare il denaro per comprarsi casa, far quadrare i conti o farsi dare un fido. Ho passato il pomeriggio a dare consigli”. È in quel momento che Ami inizia a pensare di creare un progetto suo, dove poter mettere a disposizione della collettività – ed in particolare delle donne – tutto il suo sapere e la sua grande esperienza.

Questa intuizione prende ancora più forza quando, dopo essersi trasferita in Trentino, comincia a conoscere una realtà diversa da quella bresciana, soprattutto per quanto riguarda “la questione femminile”: lì infatti molte più donne decidevano di lasciare il lavoro o ridurlo ad un lavoro part-time per curare la famiglia, mentre ad occuparsi delle questioni finanziarie erano soprattutto gli uomini. Viene alla luce un problema che, oltre al Trentino, colpisce la maggior parte delle zone d’Italia, ossia la mancanza di basi di educazione finanziaria, carenza che colpisce soprattutto il genere femminile.

Educazione finanziaria

Una ragazza educata non parla di soldi, sono quasi un tabù, ma di fatto, in Italia, il tabù sembra essere esteso anche ai ragazzi, dato che abbiamo dei livelli altissimi di analfabetismo finanziario (qui un articolo del Sole 24 Ore).

“È un fattore culturale, siamo un paese cattolico, dove diventare ricchi è visto male, diamo delle accezioni negative a termini neutri, come a “speculazione”. In più è anche vero che l’ignoranza consente di governare meglio, la mancanza di consapevolezza ha permesso per tanti anni di vendere a qualsiasi persona prodotti [finanziari] che non erano adatti a chiunque. Il rischio [della mancanza di consapevolezza] è la povertà, non solo nel presente, ma soprattutto nel futuro”.

Secondo Ami, l’ideale è che l’educazione finanziaria avvenisse a scuola, ma dal momento che non è così (e che a fatica si fa educazione civica) ci si deve informare da soli, a piccoli passi e senza paura. Sicuramente, una pagina come @pecuniami può fare la differenza, dunque ci auguriamo che cresca e aspettiamo impazienti i suoi nuovi progetti.