
Ami F. è bancaria da oltre vent’anni ed ha deciso di mettere a disposizione le conoscenze acquisite durante la sua florida carriera con chi di banca sembra non capirne poi molto: un anno fa è nato @pecuniami , una pagina Instagram dedicata alla divulgazione e all’educazione finanziaria aperta a tutti, ma destinata in modo particolare alle donne, che, a causa di retaggi socioculturali, sono le persone che più faticano a familiarizzare con la gestione del denaro.
Ma andiamo con ordine, perché la storia di Ami è tutt’altro che scontata.

Un inizio in salita
“Sono nata e cresciuta a Salò sul lago di Garda, in Provincia di Brescia. Ho frequentato il liceo classico: a me non piaceva la matematica quindi ho provato a fare qualsiasi cosa che non avesse a che fare con i numeri. All’università ho fatto giurisprudenza con il vecchio ordinamento, quello che permetteva di laurearsi in 4 anni. Ho scelto l’indirizzo internazionale, perché il mio obbiettivo era lavorare in una ONG, o in Unione Europea o in generale in diplomazia. Mio padre è morto quando ero piccola, lavorava solo mia madre ed io sono la prima di tre fratelli, quindi fondamentalmente dovevo lavorare per portare avanti l’università” racconta, spiegando che fin da subito si ritrova a svolgere lavoretti di ogni tipo, a studiare la sera ed il weekend, a dover rinunciare all’Erasmus e alla tipica vita sociale universitaria (e agli spritz, aggiungeremmo noi cafoscarini). “Però avevo trovato un escamotage per viaggiare: nei periodi in cui non avevamo esami, me ne andavo per tre o quattro mesi all’estero a fare la ragazza alla pari ed imparare le lingue”.
Sono stati anni di sacrifici, che non ha vissuto nel migliore dei modi, ma che, a posteriori, riconosce essere stati una parte cruciale della sua formazione, che l’hanno aiutata ad essere ciò che è diventata. “Sinceramente posso dire, guardando anche le carriere che hanno avuto molti dei miei coetanei, che è andata bene così. Acquisire esperienze lavorative durante l’università – e non esiste lavoro serio e lavoro meno serio, tipo McDonald’s – permette di avere a che fare con un mondo che all’università non si impara”.
È chiaro infatti come le esperienze che Ami accumula sul campo durante gli anni di studio le permettano, una volta laureata, di avere già quattro anni di gavetta (rispetto ai suoi colleghi che invece partivano da zero) e dunque di avere accesso a posizioni “più senior” rispetto a quelle offerte ai neolaureati freschi di proclamazione.
Plot twist
Ma come è approdata in ambiente bancario a partire da una formazione umanistica? Potremmo dire che Ami, armata di intraprendenza e forza d’animo, ha fatto di necessità virtù. “Ho iniziato ad avvicinarmi alla banca facendoci “la stagione” durante l’estate nei miei anni di studio” spiega. Erano i primi anni 2000, non c’era ancora l’euro e, sul Lago di Garda, ogni estate, si riversavano migliaia di turisti da tutto il mondo, portando con sé le loro valute pronte per essere cambiate. Le banche quindi si trovavano a dover gestire un’immensa mole di lavoro concentrata nei mesi della bella stagione e dunque ad assumere dipendenti in più a tempo determinato. “Un amico che studiava Economia e Commercio mi ha detto che aveva già lavorato in questo modo e io, dato che volevo provare [qualcosa di nuovo] e in più davano anche un sacco di soldi, ho provato a fare dei colloqui.”
Il lavoro non le piace, lo trova noioso, ma dato che pagano bene, decide di rimanere quando le rinnovano per più volte il contratto. Non solo, rimane anche una volta finiti gli studi: “le professioni all’estero richiedevano un investimento non da poco, perché se volevi lavorare in una ONG, voleva dire entrarci e rimanerci da non pagata per un sacco di tempo, se volevi lavorare nelle istituzioni europee dovevi preparare i concorsi, il che significava fermarsi per diversi mesi, cosa che io non potevo permettermi. Mi sono detta “va bene, se in banca per un po’ ci devo restare facciamo però che sia a modo mio”. Il mio modo di vivere lavoro in banca da quel momento è cambiato ed ho iniziato ad impegnarmi per riuscire a fare carriera e in generale a crescere, dato che cerco sempre di uscire dalla mia zona di comfort”.
Questo atteggiamento proattivo ha permesso ad Ami notevoli avanzamenti di carriera: oggi, dopo vent’anni, è diventata NPL Senior Manager, si occupa cioè di ideare progetti per grandissime aziende in difficoltà, che consentano loro di creare valore e ricchezza, al fine di ripagare i loro debiti senza incorrere nel fallimento.

Ami spiega che non si è mai sentita vittima di discriminazione, anche perché, avendo scelto di non avere figli e dare maggior spazio al suo percorso professionale, non ha dovuto affrontare il problema maternità-lavoro: in effetti questo avrebbe complicato parecchio le cose, dato che, in Italia, le politiche a sostegno della famiglia sono praticamente inesistenti. “Ho avuto più difficoltà nel mio nuovo posto di lavoro, dove ci sono pochissime donne e sono tutte subordinate. Mi è spiaciuto tanto perché anziché riuscire ad instaurare dei rapporti di solidarietà, mi sono trovata nella situazione in cui ci sono tante donne che remano contro altre donne per invidia. Io a quello non ero preparata e mi ha disturbato parecchio” racconta, invece, riguardo alle sue ultime esperienze. Trovarsi di fronte a “uomini che odiano le donne” è già più frequente, mentre incontrare ostilità da parte femminile – che suona quasi come un tradimento – non le era mai capitato prima. “Non è che colpendo la collega a livello superiore che avrai un vantaggio, perché tutti gli uomini che sono attorno vedranno solo delle gatte che si azzuffano. L’ho trovato veramente svilente a livello professionale.”
In ogni caso però, ogni esperienza, anche quella più negativa, può rivelarsi utile per la propria crescita. Come spiega nella newsletter di novembre (per iscriverti clicca qui), lo “sconfort” può tirar fuori i nostri superpoteri.
“Ti racconto questa storia perché fa veramente capire che quando entri in un posto nuovo devi in ogni caso “sbatterti tanto”. Ero in cassa nella località turistica dove lavoravo, e all’epoca si usavano i traveler’s cheque, assegni che richiedevano la doppia firma per il cambio valuta per i turisti. Arriva un signore (che si chiamava signor Rosling) con questo tipo di assegno, faccio le varie operazioni di cambio – serviva il documento, era una procedura d’incasso piuttosto impegnativa – e se ne va. A fine giornata riguardo gli assegni e vedo che nel suo non c’era la firma: si era dimenticato di controfirmare, quindi voleva dire che non potevo incassarlo. Allora io, che avevo la fotocopia del passaporto di questo signore, ho iniziato a chiamare tutti gli alberghi, per vedere se alloggiava da qualche parte, così avrei potuto andare da lui per fargli firmare l’assegno. Ho passato dalle cinque alle otto di sera a cercare questo Rosling che alla fine non ho trovato. Ma le cose che mi ha insegnato questo primo errore sul lavoro sono state
1. Se sbagli sopravvivi (vabbe’, ci avevo rimesso 200mila lire, ma ero comunque sopravvissuta)
2. Non mollare mai nel cercare di sistemare questo errore.
3. Sbattiti, sbattiti, sbattiti! Perché comunque, quando si inizia un lavoro queste sono esperienze che ti insegnano tantissimo su come lavorare.”
Consigli pratici
Oggi, le caratteristiche imprescindibili per lavorare in ambito bancario sono sicuramente una grande elasticità mentale e un forte senso pratico, cioè quelle skills che si acquisiscono fuori dalle aule universitarie. In più, non è necessaria una formazione in ambito strettamente economico-finanziario (lei stessa, del resto, ne è l’esempio lampante): “ormai in banca vengono ricercate figure professionali che vanno dall’ingegnere al giurista, anche chi ha fatto lettere può trovare il suo posto, perché non in tutti i casi è richiesta una formazione economica. La laurea in Economia e Commercio non solo non è più strettamente necessaria, ma addirittura neanche più sufficiente: quello che studi ti serve in maniera relativa e chi lavora in banca deve essere una persona molto elastica, aperta e pronta ad aggiornarsi in maniera smart.”
Il consiglio che Ami dà a tutti quelli che intendono intraprendere una carriera professionale in quest’ambito è “vivi fuori [dall’università] e impara ad avere a che fare con persone di ogni tipo e ogni livello, perché non puoi mai sapere chi incontrerai come compagno di scrivania o chi sarà il tuo capo.” Inoltre, è importantissimo creare per sé stessi un profilo definito, concentrarsi in modo specifico sulla posizione che si vuole ricoprire e specializzarsi in quella direzione, in modo tale che i recruiter si facciano una idea ben precisa di quale potrebbe essere il tuo ruolo.
@Pecuniami
Il progetto @pecuniami nasce un anno fa (tra qualche giorno infatti la pagina festeggerà il suo primo compleanno), ma la sua incubazione ha avuto origine tempo prima. Tutto nasce quando Ami decide di partecipare ad un evento di empowerment femminile a Milano, dove incontra e si confronta con moltissime donne imprenditrici. “La maggior parte delle persone che erano lì producevano cose bellissime che io non ero in grado di fare, ma avevano problemi con la gestione dei soldi, non riuscivano a farsi dare il denaro per comprarsi casa, far quadrare i conti o farsi dare un fido. Ho passato il pomeriggio a dare consigli”. È in quel momento che Ami inizia a pensare di creare un progetto suo, dove poter mettere a disposizione della collettività – ed in particolare delle donne – tutto il suo sapere e la sua grande esperienza.

Questa intuizione prende ancora più forza quando, dopo essersi trasferita in Trentino, comincia a conoscere una realtà diversa da quella bresciana, soprattutto per quanto riguarda “la questione femminile”: lì infatti molte più donne decidevano di lasciare il lavoro o ridurlo ad un lavoro part-time per curare la famiglia, mentre ad occuparsi delle questioni finanziarie erano soprattutto gli uomini. Viene alla luce un problema che, oltre al Trentino, colpisce la maggior parte delle zone d’Italia, ossia la mancanza di basi di educazione finanziaria, carenza che colpisce soprattutto il genere femminile.
Educazione finanziaria
Una ragazza educata non parla di soldi, sono quasi un tabù, ma di fatto, in Italia, il tabù sembra essere esteso anche ai ragazzi, dato che abbiamo dei livelli altissimi di analfabetismo finanziario (qui un articolo del Sole 24 Ore).
“È un fattore culturale, siamo un paese cattolico, dove diventare ricchi è visto male, diamo delle accezioni negative a termini neutri, come a “speculazione”. In più è anche vero che l’ignoranza consente di governare meglio, la mancanza di consapevolezza ha permesso per tanti anni di vendere a qualsiasi persona prodotti [finanziari] che non erano adatti a chiunque. Il rischio [della mancanza di consapevolezza] è la povertà, non solo nel presente, ma soprattutto nel futuro”.
Secondo Ami, l’ideale è che l’educazione finanziaria avvenisse a scuola, ma dal momento che non è così (e che a fatica si fa educazione civica) ci si deve informare da soli, a piccoli passi e senza paura. Sicuramente, una pagina come @pecuniami può fare la differenza, dunque ci auguriamo che cresca e aspettiamo impazienti i suoi nuovi progetti.
Una splendida vita in salita condita da una capacita’ adattiva ed elastica.Aver rinunciato ad una vita familiare sembra essere il prezzo pagato come ogni economia insegna.Brava ti seguiro’ conpiacere e curiosita’