Nel momento in cui il settore bancario è minacciato da grandi perdite, sorge opportuno domandarsi chi debba sostenere suddetto onere. Sebbene sembri naturale che a farsi carico di tali problemi siano gli stakeholders, una prima soluzione al salvataggio delle banche consiste nel bailout – contrapposto al bail-in, di cui si parlerà successivamente. Esso è una procedura attraverso la quale l’ente pubblico offre sostegno finanziario a un istituto bancario che altrimenti si ritroverebbe ad affrontare il rischio di fallimento. Le modalità di sostegno variano a seconda delle necessità, ma, solitamente, l’autorità monetaria agisce rendendosi garante dei depositi, fornendo liquidità, ricapitalizzando la società di credito o acquistandone gli assets tossici.
Bailout
Secondo alcuni economisti, tale provvedimento è necessario al fine di evitare il crash del sistema finanziario. Per altri, invece, l’intervento statale costituisce una concessione troppo generosa del pubblico verso il privato. Nonostante le divergenze di visione, le banche sono generalmente considerate privilegiate, specialmente in vigore del loro ruolo nel sistema economico. Difatti, l’intervento statale è motivato dalla necessità di risanare il sistema dei pagamenti in caso di recessione e di ristabilire il flusso di credito verso l’economia reale.
Al fine di spiegare la questione, è utile ricordare come l’attivo di bilancio di un istituto bancario corrisponda al totale dei prestiti erogati alle famiglie e alle imprese. Di conseguenza, la redditività di una banca è relativa all’affidabilità creditizia dei soggetti economici debitori della stessa, in quanto, nel caso in cui i prestiti non venissero rimborsati, il valore della società crollerebbe. Il passivo, invece, è costituito dai depositi, ossia i soldi che i privati affidano all’istituto finanziario attraverso i conti correnti, i quali vengono utilizzati per concedere ai terzi i finanziamenti che verranno iscritti nell’attivo. In caso di crisi, la contrazione dell’offerta di credito da parte delle banche potrebbe essere vista come un segnale di allarme da parte dei risparmiatori, i quali, di conseguenza, darebbero vita ad una “corsa agli sportelli”, ritirando i propri depositi. Tale fenomeno potrebbe danneggiare l’intero sistema dei pagamenti; ogni qualvolta si effettua un acquisto attraverso assegni o carta di credito, vi è un giroconto di denaro da una banca all’altra. Ciò interessa anche il pagamento degli stipendi, in quanto solitamente un datore di lavoro trasferisce l’importo direttamente nel conto del lavoratore. Nel caso in cui l’ammontare dei depositi venga messo in discussione, ne risentirebbe l’intero sistema.
Inoltre, il sostentamento degli istituti di credito da parte del pubblico consente di prevenire il cosiddetto contagio finanziario, ossia il trasferirsi delle problematiche economiche da una banca all’altra, dal sistema bancario ai diversi settori dell’economia, ma anche da un paese al resto del globo. Ciò ha portato alla coniazione dell’espressione “too big to fail”, con cui vengono indicate quelle società con capitalizzazione e influenza economica talmente elevate che il loro fallimento provocherebbe danni sistematici di enorme portata finanziaria. Per tale motivo, esse devono essere supportate dal governo in caso di necessità.
Ulteriormente, l’interruzione della concessione di prestiti ai privati da parte delle banche a causa della mancanza di liquidità caratterizzante i periodi di crisi, potrebbe minare l’espansione della produzione, stagnando l’economia. Di conseguenza, salvare tali istituzioni finanziarie permetterebbe di riattivare la linea di credito verso famiglie e imprese, accelerando la ripresa di un’economia in recessione. Questo anche grazie anche al fatto che l’intervento pubblico potenzia la fiducia delle aziende nei confronti del sistema produttivo e dei mercati finanziari, anche permettendo esse di emettere obbligazioni societarie o azioni come metodo di finanziamento alternativo.
Tuttavia, i salvataggi bancari, con sguardo particolare a quelli relativi alla crisi finanziaria del 2007-08, hanno avuto la controindicazione di aumentare il deficit di bilancio negli esercizi in cui tali provvedimenti venivano emanati, portando a un aumento generale del debito pubblico.
Bail-in
Un altro metodo per salvaguardare gli istituti finanziari venne proposto nel 2010 da Paul Calello, CEO di Credit Suisse, e Wilson Ervin, il suo CRO, in un articolo per il giornale The Economist. Questa risoluzione per le banche a rischio fallimento prende il nome di bail-in – salvataggio interno – e corrisponde alla creazione di nuovo capitale attraverso una ricapitalizzazione interna che richiede la collaborazione di azionisti, obbligazionisti e correntisti. In altre parole, questa procedura non fa ricadere l’onere del salvataggio sui contribuenti, ma sugli stakeholders – al contrario del bailout.
La direttiva europea 2014/59 ha legiferato sulla procedura di salvataggio interno e ha stabilito una gerarchia di coloro i quali devono sostenere le perdite della banca. Sono chiamati a fornire ulteriore flusso di capitale alla società in primis i titolari di azioni e quasi-equity. Successivamente vengono interpellati i detentori di corporate bonds, i quali titoli di debito in possesso vengono convertiti in quote societarie utili a far confluire nella società la liquidità necessaria. Per ultimi, conferiscono nuovo denaro i detentori di depositi eccedenti 100,000€.
Una prima conseguenza dell’utilizzo di tale procedura riguarda la sfiducia che essa potrebbe venire a creare negli stakeholders, i quali potrebbero essere tentati a ritirare i propri soldi, a liquidare le proprie obbligazioni o vendere allo scoperto le azioni societarie. Questo fenomeno creerebbe un sentiment negativo nei confronti della banca, rendendola poco appetibile nel mercato per i nuovi clienti o investitori. Di conseguenza, tutto ciò potrebbe minare la ricostruzione della linea di credito dell’istituto finanziario
Un altro rischio collegato al salvataggio interno concerne l’aumento dei costi bancari relativi alla remunerazione di fondi e finanziamenti, il quale potrebbe spingere le banche a ridurre l’incentivo a monitorare i propri prestiti. Questo potrebbe ridurre la capacità della banca di attrarre nuovi investitori e quindi di prestare più soldi a imprese e famiglie.
Conclusioni
In conclusione, per evitare una restrizione dell’offerta di credito ed efficientemente stimolare l’economia, i policy-maker dovrebbero utilizzare il bail-in contemporaneamente al bailout, al fine di non far ricadere tutto il peso di un salvataggio né sui contribuenti né sui detentori del debito bancario. Questo al fine di evitare il rischio che un aumento dei costi di finanziamento delle banche avrebbe in un’economia già povera di offerta di credito e liquidità.
Va inoltre aggiunto che, come specificato dalla ricerca degli economisti Atif Mian e Amir Sufi, le banche in periodo di recessione si trovano in difficoltà a causa della contrazione della spesa dei consumi. Perciò, se si vuole salvare tali istituti, si dovrebbe agire per risolvere causa di tale diminuzione, ovvero l’indebitamento delle famiglie.
Fonti
Mian A. & Sufi A. (2014). House of Debt. Chicago: The University of Chicago.
http://www.csef.it/WP/wp499.pdf
https://voxeu.org/article/bank-bail-effects-credit-supply-and-real-economy
https://voxeu.org/article/real-effects-bank-bailouts-evidence-japan