Un progetto ambizioso alla deriva, o almeno questo sembra essere negli ultimi tempi l’Unione Europea, tra problemi politico-strutturali, movimenti indipendentisti e la scissione da uno dei Paesi più importanti a livello economico dal blocco economico europeo completata appena qualche settimana fa. In effetti della Brexit si è parlato e si parla davvero molto, alludendo a una situazione di grave crisi a livello economico in un continente sempre più sotto pressione a livello di competitività internazionale. Difficile al momento fare delle previsioni, ma quali vantaggi potrebbe effettivamente trarne l’Italia e il nostro territorio? Al contrario di quanto comunemente si pensi, nel corso di ogni fase di turbolenza si ha la possibilità di riaffermarsi e riemergere quale potenza economica. Difficile pensare alla nostra economia quale ad un competitor con quella francese, maggiore della stessa economia inglese agli inizi degli anni ’90. Potrebbe essere questo il momento per tornare a splendere tra le stelle dell’Unione Europea?
Sicuramente una grande opportunità è data dalle delocalizzazioni, con grandi banche di investimento e multinazionali alla ricerca di nuovi sedi operativi per rientrare nel quadro legislativo comunitario. E sebbene tra le destinazioni più appetibili si trovino Polonia per i bassi costi della manodopera e Parigi-Francoforte per il tessuto finanziario più sviluppato, anche Milano ha la possibilità di emergere trasformando molti uffici oggi quasi solo di rappresentanza in vere e proprie sedi operative. Lo stesso sindaco Sala ha dichiarato quanto questo possa rivestire una grande opportunità di crescita e sviluppo per il territorio. A livello di export, ancora oggi uno dei veri traini dell’economia italiana, la situazione è particolarmente tesa. Tuttavia, nonostante si stimi per il solo Veneto un possibile costo dato dalla difficoltà burocratica e da potenziali costi e dazi doganali di circa 3.6 miliardi di euro verso UK secondo stime Unioncamere, non vengono considerate invece le possibili opportunità date da una maggiore difficoltà per le imprese inglesi nell’esportare a loro volta nell’area del mercato comune europeo.
Secondo gli ultimi valori della bilancia commerciale UK-Italia, nella sua composizione molto simile alla bilancia commerciale europea in termini di prodotti esportati, tra i maggiori prodotti esportati abbiamo prodotti farmaceutici e chimici, sul quale il nostro territorio ha ancora molto da poter esprimere, e nel comparto motoristico e componentistica, sul quale il nord-est ha grande esperienza e competenza su scala globale. In ogni caso, per le potenziali ricadute economiche dovute al possibile calo export la situazione non tiene conto dei potenziali accordi che verosimilmente verranno a definirsi in futuro tra i due nuovi blocchi. Una generale ridefinizione degli accori commerciali che potrebbe avvenire anche a livello dei singoli Paesi membri verso la Gran Bretagna ma anche tra essi stessi. Realtà estremamente promettenti quali Polonia, destinata a crescere nei decenni a venire, e la Spagna, Paese con il quale da sempre vi sono grandi sinergie e vicinanza culturale, potrebbero rappresentare ottime opportunità per ampliare e consolidare rapporti commerciali vantaggiosi per ambo le parti.
E un risvolto forse poco preso in considerazione è proprio quello di una categoria di “export” tra i più costosi anche nel nostro territorio. La meta più gettonata dai cosiddetti “Cervelli in fuga”, secondo uno studio del 2019 della Fondazione Moressa sull’Economia dell’immigrazione, risulta essere proprio la Gran Bretagna, con un 19% del totale tra i giovani post-laureati emigrati nello scorso anno. E con una potenziale stretta sulle politiche migratorie, a beneficiarne potrebbe esserne per primo proprio il nostro Paese, richiedendo tuttavia nel contempo un necessario incremento della spesa pubblica per l’educazione e la ricerca e favorendo un miglioramento delle condizioni di impiego per i giovani, riducendo il numero di menti brillanti costrette a lasciarsi alle spalle casa alla ricerca di migliori condizioni lavorative.
Si tratta di una grande sfida, dal quale il nostro Paese potrebbe cogliere un grande vantaggio a livello operativo se capace di sfruttare adeguatamente lo scenario che si è venuto a creare. Tornare ad essere una voce forte nel piano decisionale comunitario sulle politiche economiche, rilanciare e creare nuove sinergie con Paesi interni alla comunità e un generale miglioramento delle stesse condizioni interne potrebbero permettere il rilancio della competitività di un Paese in fase di stagnazione da oramai troppo tempo.
Matteo Mamprin