Brexit Deal: gioie e dolori

Il 2020 non è stato di sicuro l’anno delle gioie, ma – a sorpresa – ce ne ha regalata una proprio il 24 dicembre, a mo’ di miracolo di Natale: il Brexit Deal, che è entrato in vigore a partire dal primo gennaio 2021.

Un percorso accidentato

Da quando il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’UE ha dato esito positivo al “leave”, nel 2016, la domanda principale che tutti si sono posti è stata a quali condizioni questo “divorzio” avrebbe avuto luogo. I negoziati, che hanno avuto inizio nel marzo del 2017, hanno seguito un percorso tutt’altro che lineare, molto spesso assumendo sfumature politiche e rischiando più volte (se non diventandolo a tutti gli effetti) un braccio di ferro tra Bruxelles e Londra. L’incertezza della situazione ha portato a temere l’arrivo di una “hard” Brexit, ossia la rottura senza particolari accordi politici e commerciali tra Unione e Inghilterra, il ché avrebbe avuto risvolti negativi sia sulla mobilità delle persone tra le due aree geografiche, ma sopratutto sui commerci tra le due parti.

Sospiro di sollievo per l’agroalimentare

Fortunatamente ora sappiamo di essere fuori pericolo, l’accordo è stato raggiunto prima dello scadere della fase di transizione (che sarebbe terminata con il nuovo anno), con conseguenze positive anche per l’Italia. L’Inghilterra è infatti un grande importatore di merci made in Italy, rappresenta 25 miliardi di export italiano, di cui 3,4 miliardi di export alimentare, di cui il Regno Unito è il quarto mercato di sbocco, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Il prodotto trainante di questi commerci è sicuramente il vino (sopratutto il Prosecco Dop), il primo prodotto agroalimentare italiano venduto in Gran Bretagna, che solo nel mercato inglese ha fatturato, nel 2019, 771 milioni di euro.

In periodo di pandemia questo si rivela particolarmente strategico, perché mentre gli altri settori a causa del Covid-19 hanno accusato pesanti contrazioni, il settore alimentare è invece  quello che non solo non ha subito gravi perdite, ma, nonostante la pandemia, ha registrato un incrementato dell’1%. Inoltre, secondo Coldiretti, il rischio sarebbe stato non solo quello di una generale diminuzione dei commerci, ma anche quello di una concorrenza sleale per i prodotti Dop e Igp (che costituiscono circa il 30% dell’export alimentare italiano) da parte di prodotti che imitano il Made in Italy, ma che provengono da paesi extracomunitari o dall’Inghilterra stessa.

Uscita da Erasmus+

Non possiamo essere però altrettanto positivi per quanto riguarda la mobilità delle persone: in particolare, per quanto riguarda gli studenti, sarà più difficile o quantomeno più costoso accedere alle prestigiose università britanniche, dal momento che il Regno Unito si è chiamato fuori dal programma Erasmus+. Ora, per studiare in terra inglese sarà necessario ottenere un visto e pagare una retta universitaria raddoppiata, come tutti gli altri studenti extra-europei. Indispensabile il visto anche per ragioni lavorative, che potrà essere rilasciato solo se già in possesso di contratto di lavoro con un guadagno previsto di 25.600 sterline (fanno eccezione le professioni sanitarie e chi è in possesso di dottorato, specie se in materie scientifiche), mentre per ragioni turistiche non è necessario il visto fino a tre mesi di permanenza, ma è richiesto il passaporto obbligatorio. Boris Johnson ha annunciato che verrà creato un progetto sostitutivo al programma Erasmus+, chiamato Turing Scheme, per permettere la mobilità degli studenti inglesi, tuttavia non è ancora chiaro come questo programma si svilupperà.

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