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ESG

ESG – Investire con un occhio al futuro

Giugno 14, 2020 by content

Environmental, Social, Governance; ESG è un acronimo che negli ultimi anni è diventato sempre più popolare nel mondo della finanza e degli investimenti. Già con l’aumentare della sensibilità dell’investitore medio alle tematiche ambientali queste compagnie e fondi hanno visto un aumento vertiginoso dei flussi in entrata da parte degli investitori negli anni precendenti. Questi prodotti tuttavia vengono ancora accolti con un po’ di scetticismo da molteplici professionisti, in quanto per molti il trade-off sostenibilità ritorno non è del tutto lineare. A far cambiare idea a più di qualcuno però potrebbe esserci l’attuale situazione di pandemia provocata da COVID-19.

Infatti si è osservato come nonostante il pesante calo delle borse dovuto alla riduzione sostanziale dell’attività economica, molti fondi ESG abbiano dato dei ritorni comparabili se non addirittura superiori a quelli di molte compagnie tradizionali e indici azionari come lo SP500; un fattore decisamente non di poco conto, soprattutto per un investitore in cerca di sicurezze per il futuro per sé e per gli altri. Si potrebbe infatti dire che questa pandemia sia stata il primo vero test per questi strumenti, che fin ora avevano beneficiato di condizioni economiche favorevoli (soprattutto nel mercato americano). Dimostrando la loro resilienza a movimenti avversi del mercato caratterizzati da un cambiamento drastico nei fondamentali, gli strumenti ESG potrebbero essersi guadagnati la fiducia di molti scettici e aver conquistato definitivamente coloro che già prima erano interessati a questi prodotti. Per questi motivi molti fondi ESG hanno visto un afflusso record di denaro nel primo trimestre 2020, durante il picco della pandemia. Stando a dati Morningstar, i fondi sostenibili hanno visto entrate per $45mlrd su un totale di $384mlrd del mercato globale degli investimenti; un record considerando i valori registrati negli anni precedenti. È stato poi riscontrato come la tendenza ad investire nel sostenibile sia collegata ad un’altra tendenza in movimento da molto più tempo: infatti quasi l’80% del denaro in entrata nel settore è stato investito in fondi passivi, possibilmente spinti da investitori in cerca di acquisti a prezzi convenienti grazie ai minimi raggiunti durante il periodo di massima diffusione della pandemia.

C’è poi un’ulteriore considerazione da fare: ai loro albori le compagnie ESG incentravano il loro marketing e appeal soprattutto nella “E”: Environmental. Ma in un mondo post COVID-19 la situazione potrebbe cambiare: molti investitori sono ora preoccupati non solo come l’ambiente viene trattato, ma anche come le compagnie si comportino nei confronti dei loro dipendenti. Social e Governance potrebbero dunque avere un peso ben maggiore per gli investitori e per le compagnie da adesso e per il futuro; garantire un ambiente di lavoro salutare per i propri dipendenti potrebbe aumentare considerevolmente l’immagine e la stima della compagnia, aumentando di conseguenza il numero di potenziali investitori. Questo fenomeno potrebbe però avere una duplice spiegazione: da un lato si potrebbe pensare a questi investitori come persone che guardano al futuro e in cerca di compagnie in grado di realizzare questa visione nel modo più green e socialmente responsabile che esista. Da un altro lato, qualcuno potrebbe cinicamente ipotizzare come questa preferenza per una governance sostenibile non sia altro che una forma di protezione: nell’eventualità di una seconda ondata di pandemia, le migliori società saranno infatti quelle con la maggiore attenzione al benessere e alla protezione dei propri lavoratori, che saranno incentivati a dare il massimo nonostante i difficili momenti che si potrebbero attraversare.

Quale che sia la versione corretta,  questo tipo di investimenti sembrerebbe essere qui per rimanere nel futuro.  L’idea che le compagnie debbano perseguire i profitti e gli interessi degli azionisti ad ogni costo sta lentamente declinando, passando a quella che alcuni potrebbero definire “stakeholder capitalism”. Che da questo difficile momento in cui ci troviamo in guerra con un nemico invisibile stia per nascere una nuova forma di economia e mercati finanziari dove anche l’attenzione ai vari aspetti della vita influisce pesantemente sull’andamento economico?

Fasolo Alberto

Filed Under: Blog Tagged With: COVID-19, ESG, Green Finance

ESG – Ma ne vale davvero la pena?

Febbraio 24, 2020 by content

Un trend in ascesa, un afflusso di capitali in costante crescita ed immensi sforzi da parte delle imprese al fine di uniformarsi alle linee guida del settore: il fenomeno ESG, acronimo per Environmental, Social and Governance, sta decisamente prendendo piede nel settore finanziario, attirando l’attenzione di investitori istituzionali ma anche quella del settore più retail. Ma di cosa si tratta effettivamente? Fenomeno nato a partire degli anni ’90 con l’apparizione dei sustainable reports, da alcuni visti come semplice strumento promozionale, ma di fondamentale importanza per introdurre nel mondo del business la misurazione dell’impatto ambientale e e sociale sulla governance di una impresa , è diventato un vero e proprio approccio all’investimento concentrato verso aziende attive nella promozione di politiche legate allo sviluppo social e ambientale e ad una governance maggiormente inclusiva ed equa.

Da lì un approccio di investimento diverso dal passato, basato sull’esclusione: ponendo barriere e limiti verso determinati investimenti in società la cui condotta è vista come fortemente contraria a valori etici e morali condivisi dalla società. Si crea in questo modo una sorta di portfolio “green” e moralmente accettabile con un’ottima capacità di smuovere immensi capitali. Secondo stime Morgan Stanley, circa 1 dollaro su 4 in mano agli investment manager sono attivi in campo ESG, e circa l’84% degli investitori sta attentamente considerando o già attuando una strategia di investimento seguendo queste linee guida. In realtà la stessa definizione di ESG non è cosi facile, così come la definizione di linee guida comuni condivise dalla categoria: in Italia a definirle ci ha pensato l’AIFI, Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

Non esiste tuttavia un vero e proprio framework comune che permetta di identificare se e a che livello una azienda possa o meno essere considerata rispettosa di tali politiche. Un tentativo di uniformazione è stato fatto in Francia, con l’introduzione dell’etichetta ISR: creata dallo Stato francese, permette di identificare quali siano i fondi effettivamente impegnati in tali attività, dando una certa uniformità nella loro classificazione. Anche le tecniche di selezione degli asset si sono rivoluzionate, con l’introduzione del processo inverso rispetto a quello attuato precedentemente: con lo sviluppo di ranking e valutazione dei fondi, si tende spesso a selezionare titoli che a livello di ESG performano meglio.

Ma anche con standardizzazione ed evoluzione delle tecniche, la selezione dei titoli è ancora soggetta ad un certo livello di discrezionalità. Come deve essere considerata una azienda che opera nella lavorazione del tabacco ma investe in politiche ambientali e sociali? E una società operante nell’energia rinnovabile con nessuna politica di parità dei sessi messa in atto? In Francia l’introduzione dell’etichetta ISR ha portato moltissime aziende ad adottare politiche vicini alle tematiche, e la paura di perdere tale etichettatura con conseguenti danni di immagine e potenziali criticità presso la raccolta di capitali spingono ad adottare politiche più stringenti di quelle effettivamente richieste. Una grande pressione, che tuttavia ha portato nuova attenzione a molte di queste problematiche e alla promozione verso un vero e netto miglioramento sotto molteplici punti di vista: ambienti maggiormente inclusivi, riduzione del gender-gap, attenzione a politiche ambientali e sociali.

E nonostante la generale convinzione che si debba rinunciare alla performance come costo per un mondo migliore, spesso in realtà queste risultano essere molto simili a quelle degli investimenti tradizionali secondo stime dell’IMF in un report del 2019. Simili, ma comunque inferiori, dovute all’esclusione di settori estremamente profittevoli quali l’oil & gas e la lavorazione del tabacco. Viene da chiedersi pertanto se si tratti di una moda o di una nuova rivoluzione in ambito finanziario. Elevato è il rischio di manipolazione dei dati e del reporting, non potendo contare su un quadro normativo stabile e uniforme. Inoltre, non sempre è così chiaro se si tratti di un factor investing realmente efficace rispetto ad altri factor classici più diffusi e resistenti anche in condizioni avverse di mercato. Tuttavia il trend sembrerebbe essere, anno dopo anno, quello di una crescita della loro importanza e considerazione, una generale affermazione sul mercato, lasciando intravedere un futuro nella finanza più “verde” che mai.

Matteo Mamprin

Filed Under: Uncategorized Tagged With: ESG, Invenicement

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