Nel 1992 gli Stati Uniti furono i protagonisti di un’espansione economica durata fino al 2000. Quel periodo venne dominato da una sorta di <<euforia irrazionale>>, espressione utilizzata da Alan Greespan, allora presidente della Fed, per indicare il sentment degli investitori. Queste parole diventarono poco tempo dopo il titolo del libro di Robert J. Shiller (“Irrational exuberance” in inglese), professore di economia comportamentale dell’università di Yale. Shiller nel libro descrisse i meccanismi che portarono alla formazione della bolla speculativa chiamata Dot-com.
Stock price

Il prezzo di un’azione è uguale al valore attuale scontato atteso della somma dei dividendi futuri. Esso coincide col valore reale dell’azione, anche detto valore fondamentale. Tuttavia, è possibile che un soggetto sia disposto ad acquistare l’azione a un prezzo maggiore del valore di fondamento, in virtù delle aspettative di crescita. L’ondata di acquisti stessa è responsabile dell’incremento del prezzo dell’azione a causa della legge della domanda e dell’offerta.
Perciò, un’azione gonfiata è un titolo finanziario per il quale il prezzo è composto dal valore fondamentale e da elevate aspettative di capital gain.
Fattori strutturali come causa dell’euforia
Shiller indentifica una prima serie di fattori che gonfiarono il mercato, definiti come “strutturali”.
Il motivo principale risiede nel fatto che l’avvento di internet e l’aumento degli utili avvennero nello stesso momento. Perciò, il pubblico fu portato a pensare che i due fenomeni fossero, se non correlati, correlabili in futuro: internet avrebbe potuto far lievitare i profitti. Di conseguenza, i mass media focalizzarono la loro attenzione verso il mercato azionario, annunciando previsioni sempre più ottimistiche riguardo gli andamenti dei mercati e dei guadagni in conto capitale. Le aspettative erano solite superare l’aumento effettivo dei prezzi.
Il Baby Boom fu un periodo caratterizzato da alti tassi di natalità, iniziato nel 1946 e terminato nel 1966, anno in cominciò a rilevarsi una riduzione del tasso di fertilità. Crebbe il timore che non vi sarebbero stati abbastanza lavoratori per finanziare le pensioni di coloro nati nel periodo dell’esplosione demografica. In risposta a quella preoccupazione, i più vecchi iniziarono ad acquistare shares per provvedere all’accumulo di risorse al fine di sostenere il proprio ritiro dal mercato del lavoro. In più, i possessori di piani pensionistici 401(k) cominciarono a favorire l’acquisto di azioni rispetto alle obbligazioni.
Altre ragioni “strutturali” sono l’aumento delle operazioni di trading speculativo intra-day, causato della diminuzione dei costi di transazione dei broker, l’aumento della deregolamentazione e il taglio delle tasse sui redditi da capitale.
Il meccanismo di retroazione

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Tutto ciò fu amplificato da un meccanismo chiamato retroazione delle bolle. Secondo questa teoria, gli aumenti iniziali dei prezzi e il fatto che il mercato azionario si trovi in trend positivo portano gli agenti economici a voler essere partecipi di questo rialzo. I consumi più alti derivanti dai profitti invogliano ulteriori investitori a prendere parte al fenomeno. Questo processo continuerà fino a quando si assisterà a uno shock della domanda, il quale causerà una bolla negativa, ossia una repentina diminuzione dei prezzi.
Fattori culturali come causa dell’euforia
Tra i fattori culturali proposti da Shiller vi è principalmente il ruolo dei mezzi di comunicazione come propagatori delle bolle speculative. Essi, attraverso il modo di propagazione di determinate notizie, possono influenzare l’opinione di certi gruppi di persone riguardo l’azionario, nel tentativo di guadagnare l’interesse del pubblico.
In secondo luogo, secondo il professore, i rialzi dei prezzi possono essere anche associati alla diffusione del pensiero di una “nuova era”. Con questa espressione si vuole intendere ottime prospettive economiche o un boom del mercato. Nel caso dell’espansione degli anni ’90, con “nuova era” ci si riferiva a un periodo di prosperità con globalizzazione e avvento tecnologico come mascotte.
Fattori psicologici come causa dell’euforia
Le ragioni di natura psicologica risiedono principalmente nell’incomprensione del giusto valore da attribuire al mercato.
Secondo l’economista, non molti investitori riflettono realmente se il mercato sia troppo o poco quotato. Questo perché i modelli di comportamento umano nelle operazioni di borsa limitano la perfetta lettura della realtà. I limiti vengono definiti ancore e sono di tipo quantitativo e morale. Con la prima categoria si intendono quei limiti dati dalla lettura superficiale del valore degli asset. Infatti, le persone tendono a valutare un titolo azionario in base all’ultimo prezzo che ricordano o secondo una stima media dei prezzi passati. Particolare attenzione è data anche alle cifre tonde (es. S&P 500 a 3000 punti). Con le ancore morali o qualitative si intendono le forze che spingono gli agenti economici all’acquisto di titolo. Queste forze sono anche dette motivazioni e possono essere di diversi tipi. Ad esempio, la propensione capitalistica di investire in azioni è una tipologia (motivazione culturale).
Questi limiti si uniscono anche al problema di eccessiva fiducia dell’uomo nel suo intuito e di conseguenza all’incapacità di riflettere e agire razionalmente.
Altri fattori psicologici comprendono l’effetto epidemico del passaparola sulle decisioni di acquisto di determinate azioni, facendo passare i propri acquisti come convenienti al prossimo, e la tendenza umana ad essere un gregario, quindi di fidarsi delle informazioni di coloro ritenuti esperti.
Sbagliati apprendimenti come causa dell’euforia
Ulteriori motivi evidenziati da Shiller a proposito dell’espansione della dot-com consistono negli apprendimenti sbagliati degli investitori. La maggior parte degli operatori finanziari fu spronata all’acquisto di azioni a causa dell’errata convinzione per cui il mercato azionario anche in caso di crollo risalirà completamente, senza tenere in considerazione, tuttavia, che esso può rimanere a bassi livelli per lunghi periodi. Il pubblico ha imparato che le obbligazioni rendono di meno delle azioni nel lungo periodo. In realtà, anche questa non è una verità certa.