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covid

La scommessa di Joe Biden

Marzo 22, 2021 by Tommaso Trabona Leave a Comment

‘The nine most terrifying words in the English language are: -‘I’m from the government and I’m here to help’-’’. Era l’agosto del 1986 quando Ronald Reagan pronunciava delle parole che oltre a segnare il passo dei tempi, riflettevano bene la posizione del presidente repubblicano riguardo a quello che dovrebbe essere (o meglio non essere) il ruolo dello stato nell’economia. Poco importa in questa sede specifica discutere il contesto politico degli anni Ottanta o valutare (a torto o a ragione, è un’altra storia) le argomentazioni a supporto di quel pensiero. Questo inizio aneddotico ci serve piuttosto a contestualizzare, per contrasto, l’operato dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Joe Biden. 

La ricetta di Reagan era chiara: deregolamentazione, tasse ridotte, spesa domestica contenuta e fiducia nel libero mercato. Molti aspetti di quella agenda avevano già cominciato ad essere seriamente discussi con l’esperienza presidenziale di Obama, successivamente alla crisi finanziaria del 2008.

Ma mai come oggi una visione politica di quel tipo sembra essere stata accantonata. Il messaggio in arrivo da Washington infatti, in seguito alla recente approvazione del nuovo stimolo fiscale da 1.9mila miliardi di dollari, -noto come American Rescue Plan-, sembra proprio dire: ‘Noi siamo del governo e sì, siamo qua per aiutare’.

Il piano, passato con scarna maggioranza in un Congresso profondamente diviso, mirerà a rilanciare l’economia statunitense nel post-pandemia e metterà a disposizione dei cittadini risorse dirette per rimarginare le ferite ancora aperte dalla crisi dell’ultimo anno. 

Tra le misure chiave sono previste: assegni diretti di 1400$ a chiunque abbia un reddito inferiore a 75000$, un’estensione dello schema federale a supporto della disoccupazione (principalmente sussidi), un aumento del credito d’imposta per i figli a carico (che punta a ridurre del 45% il numero di minorenni in condizioni di povertà) e infine spese più generiche per riaprire le scuole in sicurezza e aiutare le amministrazioni locali. 

Al di là dell’impatto che questa pioggia di denaro avrà (dibattito aperto) su inflazione, economia reale e mercati finanziari, la prospettiva è quella di iniettare fiducia in un sistema che già rivede verso l’alto le proprie previsioni di ripresa, anche grazie all’efficace distribuzione in corso del vaccino.

Volendo ritornare al nostro parallelismo iniziale, il mondo al quale il presidente repubblicano parlava trentacinque anni fa era senza dubbio profondamente diverso. Ma c’è un aspetto culturale su cui fino ad oggi si pensava che la provocazione di Reagan trovasse riscontro, ovvero l’avversione del popolo americano per l’interferenza pubblica nella vita privata dei cittadini (anche e forse soprattutto quando si parla di distribuire soldi). Ma pure questo scetticismo sembra essersi allentato proprio a causa dell’impatto della pandemia, che ha portato buona parte della cittadinanza a percepire la necessità di maggiore protezione da parte del governo centrale. Il Pew Research Centre Poll- un centro di ricerca- ha pubblicato uno studio, una decina di giorni fa, nel quale si evidenzia che oltre il 70% degli americani adulti sembra essere d’accordo con l’imminente misura di welfare. Un dato ancora più interessante indica che il 41% degli elettori repubblicani giudicherebbe giusto il nuovo piano, nonostante nemmeno un singolo senatore repubblicano abbia votato a favore per l’approvazione dello stesso. 

L’American Rescue Plan potrebbe quindi passare alla storia non solo perché le sue dimensioni lo rendono un esperimento fiscale senza precedenti, ma anche perché simbolo di un nuovo approccio politico, che si propone di costruire una rete sociale più solida e protettiva per le fasce in difficoltà della popolazione.

Ma come detto nel titolo si tratta di una scommessa. Il rischio principale, indicato da diversi tra economisti e politici, è che l’economia americana si surriscaldi troppo, proprio per l’eccessiva misura del pacchetto di stimoli. Sostanzialmente si teme un’inflazione galoppante nei prossimi mesi, prospettiva che i mercati stanno osservando con attenzione, come conferma la recente impennata nel rendimento decennale dei titoli di stato americani. La Federal Reserve ha comunque annunciato che ignorerà la crescita dei prezzi nel breve periodo, anche se questa dovesse eccedere il target del 2%: una sorta di compensazione per i precedenti periodi di inflazione sottoritmo. Lo stesso presidente della FED, Jerome Powell, ha recentemente giustificato quest’idea sostenendo che qualora l’economia dovesse surriscaldarsi eccessivamente, si tratterebbe solamente di un periodo temporaneo. La banca centrale continuerà dunque ad ampliare l’attivo del proprio bilancio, comprando asset (in gergo quantitative easing) e mantenendo ai minimi i tassi d’interesse, contemporaneamente ad un atteggiamento più flessibile verso l’inflazione nel breve termine.

Ricapitolando, dovesse avere ragione Biden, questo nuovo approccio potrebbe segnare una svolta epocale nel modo d’intendere la politica negli Stati Uniti: sostanziosi stimoli fiscali diventerebbero la via più diffusa per uscire dalle recessioni future e nel presente l’economia americana troverebbe la strada verso un nuovo sentiero di crescita, anche di lungo periodo. D’altra parte, lo scenario peggiore previsto dagli scettici, è che la Federal Reserve si troverà costretta a dover gettare dell’acqua fredda su un’economia eccessivamente surriscaldata, alzando i tassi per calmierare la crescita dei prezzi. Si tratterebbe di un autentico disastro: eccessivo indebitamento (ad un costo più alto) e un serio danno di immagine, che ridurrebbe la fiducia nelle istituzioni centrali e nella loro capacità di attuare efficaci politiche economiche (il che significherebbe anche rimettersi al pensiero di Reaganiano).

Ad ogni modo questa scommessa è vista da molti come una soluzione necessaria e complessivamente migliore dell’inattività; detto ciò, nessuno dovrebbe mettere in dubbio i rischi legati alla sua grandezza.

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The Day After – Benedetta Piva

Luglio 5, 2020 by content

Continuando la nostra rubrica per capire cosa stia accadendo nel mondo dall’inizio della sfida Covid, oggi intervistiamo Benedetta Piva, Senior In-Stock manager di Amazon US a Seattle, che ci parlerà di come IL gigante dell’e-commerce sta riuscendo ad affrontare questa sfida epocale. Nonostante l’imposizione del lockdown possa sicuramente aver avvantaggiato questo modello di business, molte sono le incognite da affrontare per garantire il flusso dei prodotti dal produttore al consumatore.

Di cosa ti occupi attualmente in Amazon? E da dove questa scelta di trasferirti dall’altra parte del mondo per lavorare nell’azienda “con il sorriso nella scatola”?

Mi trovo nel reparto e-commerce, in particolare nella categoria “Home & Kitchen”. Davvero molto ampia, parte all’interno di un team di circa 10 persone, mi occupo di supervisionare la end-to-end supply chain, dall’invio degli ordini ai fornitori (ovvero, le aziende che vendono su Amazon) alla consegna degli ordini ai clienti finali, inclusa la reverse supply chain (ovvero, la gestione dei resi). Il nostro obiettivo a livello US ma anche a livello globale è quello di riuscire a consegnare il prodotto entro 24 ore dall’ordine del prodotto. In generale, il ruolo dell’In-Stock Manager è quello di migliorare l’efficienza della supply chain. Tuttavia, seguo anche una serie di progetti interni tra i quali uno al quale tengo molto, denominato Shipping In Own Container – SIOC. Per il dipartimento Home and Kitchen, si tratta di ridurre l’uso di imballaggi tramite l’eliminazione di parte dell’imballaggio da parte del produttore, ricevendo direttamente dal produttore un prodotto imballato con una scatola pronta alla consegna.

L’idea di trasferirsi dall’altra parte del mondo era in realtà qualcosa alla quale pensavo già da un po’. Dopo una lunga esperienza in finance in Italia per OTB, ho deciso di perseguire il mio percorso con un MBA, consapevole che avrebbe davvero dato una spinta immensa alla mia carriera professionale.

Tutti escono acciaccati da questa crisi, tutti tranne Amazon. Come descriveresti in poche parole un successo così travolgente, capace di resistere nonostante tutto ad un impatto così forte sul piano dei consumi? Come ci si è dovuti adattare nel gestire un sistema di logistica così complicato in un mondo colpito da una pandemia?

Direi 2 parole: Customer Obsession. Sentita moltissimo da tutti qui in Amazon, si cerca in ogni modo di migliorare l’esperienza per il consumatore, ampliando l’offerta, l’esperienza e il value for money. In generale in un periodo di pandemia globale ci si trova in una posizione di vantaggio rispetto al classico retail negli store fisici, ma anche un colosso della logistica come noi ha subito un grosso impatto. La distruption della supply chain è stata notevole. Fatte salve le private label di Amazon, come ad esempio AmazonBasics, che vengono prodotte direttamente da Amazon, un grosso problema è stato generato dall’approvvigionamento di prodotti direttamente dalle aziende che vendono i loro prodotti sulla nostra piattaforma e-commerce. Queste aziende hanno difficoltà a livello operativo (produzione e logistica) che impediscono loro di confermare i nostri ordini. Questo porta Amazon a dover far affidamento sui pochi ordini confermati e sulle scorte disponibili al momento nei nostri centri di distribuzione, nei quali molte categorie di prodotto stanno andando velocemente sotto la soglia di sicurezza, se non sono già esaurite del tutto. Un grosso impatto anche sulla tipologia di prodotti richiesti: un vero e proprio boom ad esempio nelle macchine da cucire per realizzare le mascherine, il quale ha azzerato le scorte di magazzino in tempi brevissimi. Una sfida continua da affrontare giorno per giorno, in un mondo che cambia ad una velocità stratosferica.

Un momento un po’ delicato per gli Stati Uniti. Coronavirus, manifestazioni e ondate di licenziamenti. Come si sta affrontando la situazione al momento in una fase così delicata in un gruppo internazionale come Amazon?

Da sempre Amazon si ritrova in una posizione più agevole in ambienti dinamici e in continuo cambiamento. Qui negli Stati Uniti la situazione è di circa un mese di delay rispetto alla situazione europea sul piano Covid, e da inizio marzo si è iniziato da subito a lavorare da casa. Per il mio lavoro in particolare, mi basta un PC per essere produttiva come in ufficio. La politica aziendale al momento è quello di continuare a lavorare da casa almeno fino ad ottobre ed in ogni caso la transizione a questa nuova modalità di lavoro così rapida è stata in realtà ben gestita. In generale, tutti i grandi player del tech hanno optato per politiche simili, salvo forse Microsoft sempre qui a Seattle dove invece si punta ad un rientro in ufficio il prima possibile. In generale si lavora di più, ma sono stati introdotti nuove idee come il No-Meeting Friday per dare modo di recuperare il lavoro arretrato il venerdì senza dover lavorare anche durante il weekend.

Qualche consiglio a chi sogna a stelle e strisce per il proprio futuro? Come raggiungere un grande gruppo come Amazon in una situazione così delicata?

Planning è la parola chiave. In generale per tutta la carriera, pianificare almeno 3-5 anni in avanti rispetto al momento, in modo da sapere quale direzione conviene seguire. Una cosa molto difficile da fare, ma forse l’unico modo che dia la possibilità di effettivamente perseguire obiettivi ambiziosi che richiedono preparazione e costanza. Il primo passo è verso la consapevolezza di ciò che si vuole in modo da spingersi nella direzione giusta.

Matteo Mamprin e Martina Carraro

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The Day After – Massimo Famularo

Giugno 7, 2020 by content

Un contesto di grande cambiamento, di innovazione e di rilancio. L’occasione data dalla fase di distuption a seguito dell’epidemia COVID è davvero imperdibile per portare innovazione, abbandonando pratiche oramai superate per abbracciare nuove idee. Ma dove ci stiamo dirigendo? Cosa sta accadendo nel mondo del lavoro? E come affrontare al meglio le nuove sfide che questo mondo post-COVID ci mette di fronte?

Passo dopo passo l’obiettivo è quello di capire, smontare e ricostruire quali saranno le nuove dinamiche del gioco. Un compito non facile, che richiederà l’aiuto di esperti di ogni settore. Nel nostro appuntamento di oggi Massimo Famularo, attualmente Head of Italian NPLS per Distressed Technologies e part-time blogger (e youtuber), ci spiega cosa sta cambiando nel mondo professionale partendo dalla sua esperienza personale, dandoci interessanti stimoli e nuove chiavi di lettura del contesto nella quale ci troviamo immersi.

Una carriera di successo in un settore molto competitivo e spesso non di facile comprensione per i non addetti ai lavori. Di cosa si occupa nella vita?

Mi sono laureato con lode alla Luiss di Roma in economia con una tesi sul cambio dell’euro che in quel periodo era in fase di introduzione. Nei 20 anni successivi ho lavorato nel settore degli investimenti in attività illiquide e crediti deteriorati come analista, gestore di portafoglio, consulente e membro del cda di società del settore. Per qualche anno ho anche diretto il dipartimento che gestisce i crediti problematici di un primario istituto di credito.

Una carriera in un ambito professionale molto tecnico e complesso, ma anche una grande passione per la divulgazione di questa conoscenza. Da dove nascono l’idea del blog, del podcast e del canale YouTube? E a chi si rivolgono?

L’interesse per la divulgazione e l’insegnamento hanno probabilmente una origine famigliare visto che entrambi i miei genitori erano professori. In generale ho sempre avuto una passione per la scrittura e la comunicazione e, in ambito professionale, mi sono reso conto di riuscire a veicolare in modo efficace anche concetti piuttosto complessi. Non appena ho potuto, ho deciso di impiegare nel tempo libero questa abilità per essere utile agli altri.

Trovo che troppo spesso il dibattito sui principali accadimenti di carattere economico, politico e finanziario sia viziato da una rappresentazione inadeguata fornita dai media generalisti. Per quanto posso cerco di intervenire con editoriali e contenuti divulgativi per ovviare a questo problema. Podcast e canale YouTube sono prevalentemente indirizzati ai non addetti ai lavori, mentre i contenuti di carattere più tecnico sono concentrati nel blog in inglese e sul gruppo LinkedIn che curo.

Un professionista affermato, un blogger ma anche un mentor. Da dove questa passione?

Probabilmente dal non averne avuto uno: avendo sperimentato quanto possa essere frustrante orientarsi e sulla base di informazioni incomplete e comprensione parziale della realtà che ci circonda ho deciso di darmi da fare per aiutare studenti e professionisti più giovani a trovare la loro strada.

Il recente contesto COVID19 ha rimesso in discussione molto il lato occupazionale. Cosa ne pensa relativamente alle opportunità dei giovani in ingresso nel mondo del lavoro? Cosa si sente di consigliare a tutti i ragazzi che leggeranno questa intervista, un po’ impauriti di fronte alle sfide che si presentano nel futuro prossimo a livello professionale?

Lo shock causato dalla pandemia sta accelerando e rendendo più evidenti delle tendenze che erano già in atto. Per trovare il primo lavoro tanto quanto quelli che verranno dopo (non esiste più il lavoro per la vita) è necessario acquisire un atteggiamento imprenditoriale: studiare le opportunità, le tendenze del mercato, cercare di comprendere le direttrici del cambiamento, impegnarsi per trarne vantaggio o quanto mento per non riceverne danno.

Occorre adottare un atteggiamento flessibile, proattivo, volto alla risoluzione dei problemi, senza paura di prendere dei rischi o di sbagliare e cercando di imparare sempre il più possibile da tutte le esperienze.

La guida per rimanere in carreggiata consiste nell’interrogarsi costantemente sulla propria capacità distintiva di aggiungere del valore alle iniziative alle quali si partecipa e su quanto numerosi sono i soggetti che possono potenzialmente essere interessati al proprio contributo. Prima che anche solo una di queste due variabili possa ridursi (sarebbe un campanello d’allarme) è opportuno giocare d’anticipo lavorando sulle proprie competenze e investendo su sé stessi specie in formazione.

E secondo Lei quali saranno le competenze del futuro che ogni ragazzo dovrà avere nel proprio toolkit di sopravvivenza professionale?

Autonomia, intraprendenza, flessibilità, capacità di affrontare in maniera costruttiva e talvolta creativa problemi sempre nuovi, motivazione, entusiasmo e disponibilità al cambiamento.

Ma soprattutto visione d’insieme e capacità di osservare dove va il mondo e di agire tempestivamente per non rimanere indietro: se mi accorgo che determinati lavori (dal benzinaio al giornalista di cronaca, dall’ impiegato amministrativo al cassiere) potrebbero vedere ridimensionata la propria rilevanza a causa della tecnologia o di un cambio nelle abitudini o semplicemente costituiscono servizi e attività per le quali le persone non sono più disponibili a pagare (cercarsi un viaggio on line, prelevare contanti, fare benzina) è opportuno attivarsi per tempo per trovare strade alternative.

Domenico Sorice & Matteo Mamprin

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COVID-19: una sfida ed un’opportunità

Maggio 25, 2020 by content

Nel 2003, la SARS costrinse la Cina alla quarantena e fu così che il business di Alibaba dovette trasformarsi per sopravvivere. Nel 2020, il Covid-19 costringe il mondo alla quarantena, richiedendo a governi ed aziende risposte intelligenti e soluzioni innovative per affrontare la crisi.

È il momento di innovare.

In Italia e nel mondo, aziende, centri di ricerca, Istituzioni, comunità locali e virtuali stanno cercando di disegnare un nuovo futuro post-pandemia, un futuro che non dovrebbe avere l’aspetto di quello previsto fino a poco tempo fa. Abbiamo visto nascere nuove tecnologie, abbiamo visto governi rispondere con misure di portata straordinaria, finanziamenti senza precedenti e comunità scientifiche più interconnesse che mai. Ci sono molti esempi virtuosi di ciò che questa crisi ha prodotto.

Il CEO di Twitter fa notizia annunciando di permettere ai propri dipendenti di poter lavorare da casa per sempre. Facebook, a ruota, ha dichiarato che la metà dei suoi dipendenti lavorerà da remoto entro dieci anni. Più che di innovazione, in questo caso si tratta di una presa di coscienza di una modalità di lavoro che garantisce il raggiungimento degli stessi risultati ma in modo virus-friendly. Nel pre-crisi lo smart working era considerato uno spreco di risorse, ai tempi del Covid è l’unica via percorribile. Di fronte ad un’unica alternativa, molte aziende, per non fermare le loro attività, hanno dovuto e dovranno investire in apparecchi elettronici e sistemi informatici che renderanno possibile il lavoro da casa. Questa nuova modalità di lavoro ha creato, di conseguenza, delle nuove necessità: una connessione sempre più veloce, potente e garantita e lo scambio di informazioni private in sicurezza. Così, ci sono realtà come Bloola che nascono per supportare le aziende nel processo di digitalizzazione. Ecco che il cambiamento (anche se forzato) crea un circolo positivo che porta innovazione e nuove opportunità.

Nell’ambito della ricerca, menti da tutto il mondo si sono messe al lavoro insieme per dare il proprio contributo e le piattaforme di crowdsourcing sono state essenziali per la comunicazione e la condivisione di risultati tra Università, aziende ed Istituzioni. Jean-Eric Paquet, direttore generale della DG Ricerca e innovazione presso la Commissione europea, si esprime così: “Non ho mai visto una mobilitazione della comunità scientifica come nelle ultime otto settimane. Penso che il livello, la qualità, le interazioni, i risultati resi disponibili, siano senza precedenti.”

In ambito aziendale, molte realtà hanno convertito la loro produzione per realizzare mascherine, gel sanificanti e ventilatori polmonari, ad esempio:

  1. Ford, GE, 3M si sono unite in una partnership per convertire la loro produzione in materiale medico protettivo, mascherine e ventilatori polmonari;
  2. aziende produttrici di liquori (Disaronno e Ramazzotti ad esempio) e birrerie hanno convertito le loro strutture per produrre gel sanificante per mani;
  3. aziende del settore fashion come Zara o Gap hanno iniziato a produrre mascherine per personale sanitario e non.

La mobilità urbana post-covid è un altro settore sul quale molti Stati stanno investendo. Parigi, ad esempio, ha designato un piano da 300 milioni di euro che prevede la costruzione di 650 km di piste ciclabili, una nuova rete di itinerari chiamata metro-bici. Anche Milano si è attivata in questo senso, presentando il cosiddetto piano “Strade aperte”, che prevede la costruzione di nuove aree ciclabili e pedonali per una città più pulita e sicura.

Molti governi hanno stanziato risorse per incentivare la creazione di nuovi strumenti e soluzioni per affrontare la crisi. Gli hackathon si sono rivelati una modalità vincente per la raccolta di idee, un vero e proprio campo libero per nuove proposte da parte di incubatori di start up. L’Estonia è stato il primo paese ad organizzare “Hack the Crisis”, un hackathon online che in appena 6 ore ha raccolto oltre 90 idee. Sulla scia dell’esempio Estone, è stato organizzato un hackathon mondiale e poco dopo l’Ue ne ha promosso un altro rivolto a tutta la comunità. In Italia, ad esempio, è nata Imask, un’invenzione siciliana, una maschera riutilizzabile, riciclabile e conveniente, mentre Isinnova in Lombardia ha trasformato un maschera da sub in un respiratore sanitario. Uscendo dai confini nazionali ci sono ragazzi, come Marta Michans and Vanesa Ortega, che si sono inventati degli strumenti gratuiti per dare sostegno psicologico alle persone durante la quarantena. In Cile una piccola start-up ha creato un prototipo di mascherina, gratuito, scaricabile e stampabile da chiunque nel mondo con materiali classici o eco-friendly. Ne ho citate solo alcune, la lista è molto lunga.

L’innovazione è venuta anche dai governi stessi. L’approccio convenzionale non basta più, si cercano soluzioni alternative e nuovi orizzonti da esplorare. Ne è esempio la proposta del Primo Ministro neozelandese, su suggerimento di impresari e lavoratori, di implementare un nuovo schema che prevede soli 4 giorni a settimana di lavoro e i restanti di svago per stimolare il turismo domestico e quindi la ripresa economica. I risvolti futuri non si conoscono, ma la proposta dimostra un approccio diverso, coraggioso e consapevole che il futuro va affrontato di petto. La Danimarca si muove investendo sull’educazione e sulle energie rinnovabili, attraverso un progetto che prevede la costruzione di isole artificiali per la produzione di energia. Si focalizza quindi su due aspetti chiave del futuro di un paese: i piccoli, futuri leader, e l’ambiente.

Due importanti conclusioni:

1) il virus sta sbloccando l’innovazione dai precedenti vincoli, grazie ad una maggiore propensione all’investimento nell’innovazione con lo scopo di rendere società, aziende e governi più resilienti;

2) disponiamo di un potenziale immenso che è dato dalla nostra creatività e capacità di adattamento a situazioni e contesti sconosciuti.

Entrambi gli aspetti, se ben veicolati e sfruttati, ci fanno ben sperare sul futuro nostro e delle prossime generazioni. Ora più che mai il futuro è nelle nostre mani.

Monica Girardi

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