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Niente quotazione per Ant Group Co.: la Cina ferma all’ultimo la più grande IPO della storia

Novembre 29, 2020 by Tommaso Trabona Lascia un commento

Ant Group Co., nata nel 2004 sotto il nome di Alipay come costola finanziaria affiliata alla già celebre piattaforma di e-commerce Alibaba, è oggi tra le più grandi e innovative aziende Fintech al mondo. Fu pensata inizialmente da Jack Ma (co-fondatore della stessa Alibaba- tra i primi 20 uomini più ricchi al mondo, con un patrimonio stimato intorno ai 60 miliardi di dollari-) come mero strumento di gestione e assicurazione delle transazioni in denaro all’interno dell’enorme mercato digitale asiatico.
Possiamo definire come ”Fintech” l’ecosistema composito di start-ups e banche tradizionali, che con l’efficienza e la connettività delle più avanzate tecnologie e grazie all’intelligenza artificiale, riescono a rendere le transazioni finanziarie (anche di piccola entità) più facili ed accessibili, soddisfando così una domanda in costante crescita. E Ant Group rientra a pieno in questa definizione.

Jack Ma- Fondatore di Alipay

A più di quindici anni di distanza dalla sua creazione, Ant Group Co. ha contabilizzato, nei 12 mesi precedenti a giugno di quest’anno, guadagni per oltre 18 miliardi di dollari e profitti per 2.7 miliardi grazie a più di 700 milioni di utenti su base mensile (numeri da capogiro se si pensa che la stessa Paypal, volendo offrire un confronto, conta poco meno della metà di account attivi). Questo numero enorme di clienti utilizza quotidianamente i servizi messi a disposizione dal gruppo, i quali sono facilmente fruibili unicamente in quella che possiamo definire come ”all-in-one-platform”. La consistente offerta della società permette quindi di effettuare pagamenti digitali, usufruire di crediti al consumo o sottoscrivere polizze assicurative, oltre alla possibilità di investire i propri risparmi anche a breve termine.

Business Units di Ant- Fonte Bloomberg

Nonostante l’impressionante volume d’affari, l’azienda è complessivamente poco conosciuta in occidente, provenendo il 95% dei suoi profitti direttamente dalla Cina. Ma il nome di Ant Group ha catturato l’attenzione di diversi analisti negli ultimi mesi, dopo che il magnate Jack Ma (che detiene indirettamente un solido controllo azionario, sebbene fuori dal board direttivo) e gli executives della società avevano deciso di quotare i titoli della stessa sulle due principali piazze finanziarie asiatiche, quella di Shanghai e di Hong Kong.
L’IPO(Initial Public Offering) è appunto il processo attraverso il quale un’impresa decide di accedere ad un mercato regolamentato(in questo caso due) e rendere pubblica la compravendita delle sue azioni; per Ant si sarebbe dovuto concretizzare ad inizio novembre e avrebbe così coronato l’esponenziale percorso di crescita intrapreso dalla società negli ultimi anni.
Se il governo centrale di Pechino non ne avesse inaspettatamente bloccato la formalizzazione a poche ore dal suo completamento, l’IPO del gruppo sarebbe stata la più grossa della storia, la quale era previsto raccogliesse la cifra record tra i 35 e i 37 miliardi di dollari (battendo il precedente primato della petrolifera Saudi Aramco-29 mld$-), portando la capitalizzazione del gruppo al livello stellare di oltre 300 miliardi di dollari.

Top 10 IPO della storia- Fonte Bloomberg

I numeri dell’operazione avrebbero potenziato le principali borse asiatiche e mostrato ancora una volta che la potenza tecnologica cinese non ha bisogno di dipendere da Wall Street. Un chiaro segnale di indipendenza caratterizzato da connotati geopolitici.
Da qui la domanda fondamentale: perchè mai il partito e il presidente Xi Jinping (pare abbia preso parte in prima persona alla decisione) avrebbero dovuto bloccare la quotazione all’ultimo?
Nonostante Ant sia nata come app di pagamenti digitali e preferisca definirsi più come piattaforma tecnologica, di fatto le sue funzioni assomigliano più a quelle di una banca: riceve depositi, li mette insieme e li trasforma in crediti (per poi guadagnare da questi).
Il problema sta nel fatto che questa incertezza identitaria del gruppo potrebbe portare ad una instabilità complessiva, poichè sebbene l’attività sia simile a quella bancaria, la società non aderisce alle stringenti condizioni alle quali sono soggette le banche di tutto il mondo. Il livello di capitale operativo di Ant, ad esempio, si trova ben al di sotto dei benchmark tradizionali. Il suo capital ratio, compreso tra il 2 e il 3%, è lontanissimo dagli standard dei pari occidentali (12-15%) e dalla stessa media cinese (8%). In più, l’algoritmo di ”credit-scoring” attraverso il quale vengono allocati i prestiti, pare avere un funzionamento poco chiaro oltre a non essere mai stato testato da una parte terza. Se si conta che Ant eroga un decimo dei prestiti complessivi (diversi da mutui) in Cina, appaiono più chiare le preoccupazioni legate al rischio sistemico correlato all’operato del gruppo, specie se non adeguatamente monitorato. Può bastare per bloccare un’IPO (non una qualsiasi) a 48 ore dal suo completamento? Forse sì, ma c’è dell’altro.
Un passo indietro. Circa dieci giorni prima dell’inaspettato annuncio, Jack Ma aveva, ad un summit tenutosi a Shanghai, rilasciato diverse dichiarazioni pubbliche il cui tono è stato considerato immediatamente inaccettabile dai membri del partito e dall’establishment finanziario cinese.

Ant Group Headquarter

”Il sistema bancario tradizionale ha una mentalità da banco dei pegni”. Questo, tra gli altri, il passaggio più contestato e in cui l’imprenditore ha voluto sottolineare lo scarso funzionamento delle banche cinesi nell’erogare credito, esaltando, per contrasto, l’accessibilità del suo gioiellino Fintech.
Complessivamente possiamo pensare che le dimensioni dell’operazione abbiano spaventato Pechino, la quale negli ultimi anni ha più volte ribadito come l’integrità e il corretto funzionamento dei mercati finanziari, rappresentino un obiettivo primario per lo sviluppo economico del paese. Se a questo uniamo l’atteggiamento apertamente sfidante di Ma che mal si concilia con la volontà di controllo del partito, otteniamo forse il puzzle completo. Di fatto, sebbene un’azienda di queste dimensioni possa sembrare inscalfibile, il presidente Xi Jinping ha mostrato la ferma volontà di non permettere a nessuno di aggirare le regole di Pechino, qualora venga messo a repentaglio il sistema.

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Elezioni USA: da che parte stanno i mercati?

Ottobre 12, 2020 by Tommaso Trabona Lascia un commento

I mercati finanziari, storicamente, mostrano insofferenza per l’incertezza del domani. Il 2020, con l’arrivo del virus Covid-19 ce l’ha insegnato bene: le montagne russe dei listini azionari degli ultimi mesi lo mostrano concretamente. Un andamento scostante ha caratterizzato anche l’indice Vix, (CBOE Volatility Index) che segue la volatilità (variazione percentuale del prezzo di uno strumento finanziario in un determinato intervallo di tempo), primo sintomo di scarsa sicurezza dei mercati. Questo particolare indice infatti risulta infatti più sensibile del normale a ridosso delle elezioni presidenziali Usa, come dimostrato anche nelle ultime settimane, specialmente dopo la positività al Covid annunciata su Twitter del presidente Trump.

Di seguito vediamo come potrebbero divergere le future dinamiche finanziarie sotto la nuova guida del candidato democratico, Joe Biden, rispetto a quelle possibili qualora dovesse rimanere in carica l’attuale presidente alla Casa Bianca. E’ comunque importante ricordare che una specifica politica che incontra il favore dei mercati finanziari, potrebbe non essere la più giusta dal punto di vista sociale e esasperare la disuguaglianza che abbiamo visto accrescersi negli ultimi anni. Per questo, è utile piuttosto trovare una sintesi tra le diverse prospettive che sostenga l’economia, ma che punti anche alla corretta distribuzione della ricchezza e ad aumentare il benessere per più individui possibili.

Lo scenario se vincesse Mr. Biden

Molti operatori di Borsa sono preoccupati dalla probabile (stando ai sondaggi) vittoria del 77enne candidato democratico. Una più forte presa di posizione sulla legislazione Antitrust e una maggiore pressione fiscale sulle promesse da Joe Biden in campagna elettorale, potrebbero limitare la libertà di manovra delle grandi aziende quotate e rallentarne di conseguenza l’andamento dei titoli.

Ci si aspetta inoltre, dalla agenda democratica, una particolare attenzione verso le politiche ambientali e un aumento della regolamentazione, specie del settore petrolifero (il cui azionario potrebbe risentirne).

Per contro invece, imprese più innovative e operanti all’interno dei parametri ESG (Environmental, Social, Governance) e quindi tendenzialmente rispettose di canoni ambientali e sociali, potrebbero trovarsi rafforzate da un cambio d’aria politico alla Casa Bianca.

Lo scenario se vincesse Trump

Diversi investitori, invece, potrebbero valutare positivamente un secondo mandato dell’attuale presidente repubblicano sostanzialmente per due motivi: un atteggiamento meno intransigente sulla regolazione finanziaria dei mercati e il ridotto peso delle tasse societarie che, tagliato precedentemente dal 35% al 21% nel 2017 dallo stesso Mr. Trump, sarebbe probabilmente mantenuto anche nei prossimi quattro anni in caso di rielezione.

Entrambi questi elementi, favorendo gli investimenti e rafforzando i bilanci che sarebbero così meno gravati dalle tasse societarie, sono visti di buon occhio dai mercati.

Inoltre, guardando allo storico, dal 2016 ad oggi, sotto il mandato dell’attuale presidente, i mercati hanno avuto una buona performance con un aumento di più del 45% sull’indice di riferimento S&P 500 (che racchiude al suo interno le 500 maggiori aziende statunitensi per capitalizzazione). Ma è stato veramente solo merito della guida politica degli ultimi anni alla Casa Bianca?

Quest’ultimo interrogativo lascia spazio ad un’ulteriore riflessione.

Quanto incidono veramente le elezioni?

Sebbene le elezioni presidenziali siano di importanza evidente, il peso sul mercato delle stesse potrebbe essere meno decisivo di quanto si è spinti a credere.

Per quanto Trump provi ad attribuirsi meriti del buon andamento di Wall Street, mai come in questo periodo paiono esserci troppi fattori indipendenti dalla volontà dell’amministrazione di Washington a incidere sulle piazze finanziarie.

I tassi d’interesse portati a ridosso dello zero dalla FED (come risposta al crack finanziario del 2008) ad esempio, hanno spinto gli investitori a puntare sull’azionario dato il più difficile rendimento dei titoli obbligazionari, meno appetibili in epoca di tassi bassi.

O ancora, la stessa Borsa americana è infatti trainata dalle primissime aziende per capitalizzazione (le solite note: Amazon, Facebook, Apple, Alphabet) la cui crescita esponenziale degli ultimi anni pare non seguire né l’andamento dell’economia reale, né le dinamiche del resto dei mercati azionari, grazie ad altissimi tassi di innovazione e una posizione di controllo sempre più preponderante nei settori di riferimento.

Gravissimo sarebbe dimenticare il fattore che più ha condizionato (Covid a parte) i mercati nell’ultimo periodo: la rivalità commerciale con la Cina.

Biden, infatti, potrebbe portare sul tavolo una dialettica meno aggressiva e più ragionevole nel confronto con il colosso asiatico, in opposizione ad un atteggiamento invece spesso aggressivo del suo sfidante, il quale ha esacerbato la rivalità tra le prime due economie del mondo negli ultimi anni.

Una discussione più improntata al dialogo e meno ostinata potrebbe ridurre l’incertezza sui mercati che stanno scontando il rischio politico della situazione e che, dovesse sfuggire di mano, danneggerebbe senza dubbio l’attività economica statunitense (soprattutto il settore Tech, fortemente integrato nella sua catena del valore con la produzione cinese). Ma nonostante si possano condurre le trattative con metodi differenti, la rivalità commerciale con la Cina, soprattutto in ambito tecnologico, è destinata a caratterizzare il futuro prossimo e non solo.

E infine non possiamo dimenticarci come qualsiasi dinamica di mercato resti ancora, purtroppo, fortemente influenzata dalla pandemia di Covid e dalla tempistica di arrivo del vaccino.

Dunque, nel lungo periodo, paiono essere troppe le variabili da prendere in considerazione per capire veramente quali saranno le prospettive di crescita dell’economia e dei mercati finanziari nel loro complesso, che a loro volta sembrano prescindere (anche e persino) da chi siede nella stanza dei bottoni a Washington.

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