Quello di concludere il proprio percorso di studi in un altro paese è un progetto che sempre più studenti italiani (compreso me) decidono di intraprendere. Che sia solo per vivere un’esperienza all’estero, per frequentare un ateneo prestigioso, o per trovare un approdo comodo per emigrare in un dato paese e iniziarvi la propria carriera, il processo è sempre lo stesso.
Nell’ultimo anno è stato uno dei progetti cui ho rivolto più attenzioni, e per questo ho deciso di buttare giù questa sorta di “guida” per chi sta carezzando l’idea di candidarsi ad atenei e business schools oltre confine, mettendoci tutto quello che avrei voluto sapere io quando iniziai ad informarmi.
Nell’articolo partirò da delle informazioni di base, per poi concentrarmi estensivamente sui passi più difficili da fare per ricevere l’agognata lettera di ammissione: l’IELTS e il GMAT. Descriverò ampiamente i test e darò molti suggerimenti sul come prepararli e affrontarli. Leggendo questo articolo si avrà una panoramica esaustiva su tutti i passi da fare per portare a termine il progetto.
Precisazione necessaria è che io ho concentrato la mia attenzione sulla prospettiva di entrare in università europee, quindi potrebbero esserci differenze sostanziali e sostanziose con le università americane o asiatiche. Ulteriore precisazione è che, come suggerisce il titolo, io parlo di percorsi di economia, finanza e business, e che quindi il discorso è generalmente diverso da quello di altre discipline.
Detto questo, iniziamo dalle basi: un paio di cose che possono confondere già nello scorrimento delle home pages dei siti dei vari atenei:
La nomenclatura dei titoli in inglese
In primis ci terrei a fare luce su una cosa che confonde molti (e aveva confuso anche me ai tempi), ovvero sul cosa si intenda per “master”. Il dubbio sorge dalla differenza che abbiamo nel sistema italiano tra “laurea magistrale” e “master universitario” (di primo e di secondo livello). Quando si parla di master all’estero, però non ci si riferisce al master universitario come inteso da noi, ma ad un master’s degree, che è l’equivalente della nostra laurea magistrale. Per semplicità in questo articolo userò il termine master, ma sia chiaro che mi riferisco al master’s degree.
Conviene fare un po’ di luce sulle equivalenze tra i titoli nostrani e il loro corrispettivo:
- Lauree triennali -> Bachelor Degrees, oppure “undergraduate degrees”. Sottolineo che non in tutti i sistemi i bachelor durano 3 anni, talvolta ne durano 4.
- Lauree magistrali -> Master’s degree, oppure “graduate degrees”. Anche qua non è detto che durino sempre 2 anni, in certi sistemi (per esempio quello Olandese) sono più comuni i programmi da 1 anno
- Dottorati di ricerca -> PhD (doctorate of philosophy)
I master’s degrees vengono solitamente divisi in tre diverse categorie
- Master’s of Arts (MAs)
- Master’s of Science (MSc)
- Master’s in Business Administration (MBAs)
Specifico questo perché gli MBA sono titoli particolari, sono programmi rivolti a figure che già lavorano da qualche anno (richiedono generalmente dai 3 ai 5 anni di esperienza lavorativa rilevante), e sono solitamente molto costosi, perché rivolti a figure in percorsi già avviati (Consulenti, Managers, CEOs…), lo studente di economia e business medio generalmente mira a fare un MSc, per poi magari perseguire un MBA più avanti nella propria carriera, talvolta con uno sponsor (per esempio, la società di consulenza McKinsey notoriamente si offre di finanziare parte dell’MBA per certi dipendenti).
Un’altra precisazione è che in certi casi anche per un MSc può essere consigliata esperienza lavorativa. Non sarà richiesta esplicitamente, ma, specie per i programmi più selettivi, potrebbe fare la differenza. Nella mia aneddotica c’è stato un caso in cui, chiacchierando con alcuni studenti di un master di mio interesse, ho scoperto che gran parte della classe aveva già fatto un annetto di esperienza in una delle “Big 4” (era un programma di accounting), e dei peers conosciuti online candidati allo stesso programma, sono stati ammessi solamente coloro che avevano esperienze simili.
Questa nomenclatura è presente in virtualmente tutti i sistemi europei, poi i singoli atenei applicano i loro nomi ai propri programmi (per esempio ci si trova davanti cose come “MScBA”, “MAcc”, “MFin”) ma se la materia è aziendale, economica o finanziaria (e non è un MBA), si parla sempre di MSc.
La differenza tra business school e università
Un’altra differenza che inizialmente mi aveva perplesso è proprio la dicitura “business school”, e quale sia la differenza con le università tradizionali. Dopo un anno, la mia conclusione è che la differenza sia abbastanza arbitraria, ma ci sono degli aspetti che ritornano la maggior parte del tempo:
- Le business schools hanno un approccio più pratico e orientato al lavoro rispetto università
- Le business schools tendono ad essere private, o comunque in stretta collaborazione con imprese e privati
- Le business schools si focalizzano su temi di economia, finanza e business.
Detto questo, i casi sono estremamente variegati. Alcune business schools non hanno nemmeno la dicitura “business school” nel nome, come per esempio la Stockholm school of economics. Alcune business schools non sono private, come la Rotterdam School Of Management (RSM). Altre business schools sono semplicemente il dipartimento di management ed economia di un’università, come la Amsterdam Business School, che è uno dei dipartimenti dell’university of Amsterdam (UvA). Quindi consiglio di controllare il singolo caso piuttosto che cercare una regola generica
Una volta capite queste due cose si può iniziare a visitare i siti delle università e business schools alle quali si è interessati, e iniziare a costruirsi un proprio portafoglio di scelte.
Come scegliere le proprie business schools target?
C’è poco da fare, è completamente soggettivo. Ma certamente ci sono degli elementi che andrebbero tenuti più o meno in considerazione, ne elenco un paio come spunto di riflessione:
- Il programma: direi che è la cosa più importante, a prescindere da tutto il resto che verrà detto dopo. Si può anche venire ammessi ad un’università tra le prime venti al mondo, ma se ci si trova a studiare qualcosa che interessa poco o niente, aprendosi le porte ad un settore lavorativo cui non si ambisce, tanto valeva scendere un po’ in giù in classifica.
- Università elitaria o di massa?: Accetto critiche in questo, ma penso sia importante anche tenere a mente la caratura delle proprie università target. Questo per valutare anche le probabilità di essere ammessi. Avere un portafoglio scelte di sole top con acceptance rates inferiori al 20% è una scelta azzardata, perchè l’unica situazione assolutamente da evitare è quella in cui ci si trova senza una sola lettera di ammissione. Il mio consiglio è quello di avere un portafoglio misto, dove ci siano sia università elitarie che “di massa”, dove le seconde sono quelle meno selettive, che facciano magari da piano B, o C, o D. Il mio portafoglio, ad esempio, si componeva di un’università che poco probabilmente mi avrebbe ammesso (e infatti non è stato così), tre che con probabilità media mi avrebbero ammesso, e altre due che mi avrebbero ammesso al 99%.
- Il paese: Se l’obiettivo è stabilirsi nel luogo degli studi, vien da se. Ma anche se fosse solo una possibilità, con comunque l’apertura a tornare in Italia con una laurea all’estero, non lo trascurerei. Si valuti sopratutto la possibilità reale di trovare lavoro nella nazione dove si va a studiare, in base a quanto sono richieste le conoscenze che si acquisiranno completando il programma, sulla possibilità di lavorare conoscendo solo l’inglese e non la lingua locale (potrebbe essere, ad esempio, più viabile in Olanda che in Austria o in Francia).
- Le opportunità oltre al conseguire il titolo: Nello sfogliare il curriculum del master scelto, si faccia attenzione anche a moduli particolari, possibilità di tirocini sponsorizzati, career fairs, e altro. Le business schools con un approccio più pratico tendono ad offrire molte cose di questo genere, che possono aiutare molto poi nel trovare posizioni lavorative di rilievo. Anche la possibilità di frequentare associazioni studentesche può essere interessante: alcune bss sono piene di business clubs, finance clubs, associazioni sportive, gruppi che forniscono challenges e workshops a tema, e tanto altro. Frequentare queste organizzazioni può aiutare molto col networking, e al crearsi una cerchia sociale per vivere meglio in un paese straniero.
Poi, se proprio non si sa da dove partire nel vedere quali università possano essere interessanti, consiglierei di partire dai rankings più famosi, per iniziare a farsi un’idea. Sto parlando di classifiche globali delle migliori business schools: “Financial Times Higher Education”, “QS rankings” e “Shangai ranking”. Verso la fine dell’articolo farò un’appuntino su come prendere queste classifiche, ma è innegabile che siano molto utili per dare un’occhiata e iniziare a farsi un’idea.
E un’ultima cosa nel valutare le possibili business schools: si può parlare con gli studenti che al momento si trovano li! Una moltitudine di università fornisce il servizio UniBuddy, con il quale si può scegliere uno studente e chattarci, per porgli domande di qualsiasi tipo. Io l’ho trovato molto utile, anche solo per farsi un’idea del tipo di persone con cui ci si potrebbe confrontare. Sicuramente consigliato.
Quando iniziare a pensarci? E quanto tempo servirà?
Una cosa su cui non posso non spendere due parole sono le tempistiche per portare avanti il progetto. Il mio consiglio è ragionare sul cosa si voglia fare dopo la triennale molto prima di avvicinarsi alla conclusione di essa, questo in generale, a prescindere che si voglia studiare all’estero o meno.
Ad ogni modo, se si sta valutando di andare all’estero, i tempi si allungano. Io consiglio caldamente di iniziare a pensarci intorno all’inizio del secondo anno, e iniziare a fare delle ricerche sul paese in cui si voglia andare, sull’ateneo, sul programma, e soprattutto sui perché delle prime tre cose, sui benefici che quel particolare programma porterà alla propria carriera.
C’è un’altra ragione, ovviamente, oltre alle sopra citate riflessioni e ricerche da fare, ed è la raccolta dei documenti e dei test necessari all’inviare le applications per tempo, entro le deadlines.
E su queste deadlines vorrei spendere due parole, perchè possono essere molto più vicine di quanto si possa pensare. Questo dipende principalmente dal paese scelto, ed in certi casi dall’ateneo in particolare: in Svezia, per esempio, la norma è avere le deadlines a gennaio per i programmi che iniziano a settembre, con certe università che propongono anche una early-bird deadline a Dicembre. In quel caso, quindi, l’università inizia a ricevere le prime candidature un intero anno prima dell’inizio del master. C’è da dire che quello della Svezia è un caso particolare, e forse ci sono eccezioni anche li. In Danimarca, invece, è normale vedere deadlines a marzo, mentre in Olanda generalmente ci si può candidare anche fino ad aprile-maggio, come in Italia, ma per qualcuno che non sa ancora dove vorrebbe studiare, è importante tenere questo aspetto di conto.
Anche perché come ho detto, la deadline non è solo il momento in cui si deve essere già ben certi di volersi candidare, ma anche quello dove si è effettivamente in grado di farlo, avendo già in mano la documentazione e i risultati di uno o più test di cui parlerò tra poco, e la raccolta di questi elementi può richiedere anche molto tempo.
Ripeto quindi che è meglio iniziare a schiarirsi le idee intorno all’inizio del secondo anno di triennale, per non vedersi preclusa alcuna possibilità per il solo motivo di essersi presi troppo tardi. Anche perchè, se si è come me, il solo periodo di incertezza su cosa si voglia fare prenderà molto tempo.
Cosa serve per candidarsi?
Qui si apre un mondo di possibilità. I processi di candidatura hanno la brutta abitudine di essere tremendamente diversi l’uno dall’altro. Una certa università può chiedere tante cose, mentre un’altra (anche nello stesso paese), chiederne anche solo la metà. Vien da se che anche qui bisogna guardare il caso specifico (per evitare magari di preparare e dare il GMAT quando non è nemmeno richiesto).
Ad ogni modo, stilerò ora una lista dei documenti che ho visto richiesti finora in tanti processi di application diversi (NB: i paesi dove mi sono candidato io sono Svezia, Danimarca e Paesi Bassi), poi vedremo tutti gli elementi nel dettaglio, (chiaramente questo sarà il grosso dell’articolo).
I documenti che possono essere richiesti sono:
- Una prova delle proprie competenze di Inglese
- Il risultato di un test standardizzato (GMAT o GRE)
- Un trascritto ufficiale del proprio percorso in triennale (o il diploma di laurea)
- Un Curriculum Vitae
- Una lettera motivazionale
- Delle lettere di raccomandazione
Questi documenti (o alcuni di essi) compongono il corpo principale della candidatura. Poi magari ci saranno altri elementi minori, come delle domande mirate sulle proprie prospettive di carriera nel paese, domande sui propri hobby, i documenti di identità, una domanda di self reflection, il diploma del liceo, eccetera. Ma quelli che ho elencato qui sono quegli elementi su cui ho qualcosa (o molte cose) da dire. Tratterò per primi i documenti velocemente, per poi scrivere ampiamente dei due elementi davvero importanti: il test di inglese e il GMAT/GRE.
Il trascritto ufficiale del proprio percorso triennale
Per candidarsi ad una business school non serve essere già laureati, ma se non lo si è verrà chiesto di fornire delle prove ufficiali del percorso svolto finora. Questo per motivi molteplici:
In primis per accertare che si abbiano crediti sufficienti nelle materie di cui sono richieste conoscenze (esempio facile, se ci si candida ad un MSc in Finance, con tutta probabilità verrà richiesta almeno una dozzina di crediti in finanza, una decina in statistica e matematica, e via dicendo).
In secondo luogo, (e non in tutti i casi), per valutare le prestazioni accademiche e per verificare che la media (GPA, Grade Point Average) sia abbastanza alta per l’ammissione, magari per il posizionamento in una graduatoria. Questo è per esempio il caso della Rotterdam School of Management, che pone come conditio sine qua non per l’ammissione quello di avere una GPA superiore alla media del proprio paese, dando anche dei benchmark per ogni paese del mondo. Non mi stresserei troppo sul metodo di calcolo della GPA (online si trovano consigli sul come calcolarla in duecento modi diversi, dalla scala da 0 a 4 alla scala A-F), se questa è richiesta verrà fornito un metodo di calcolo, e in certi casi anche un foglio excel pre compilato per tradurre la media del proprio paese nella GPA del sistema locale.
Ad ogni modo, il trascritto deve essere ufficiale, deve quindi essere in lingua inglese (e non tradotto da sé), e deve portare i timbri dell’università dove si sta conseguendo la triennale. Questo documento può essere generalmente richiesto dalla propria area riservata sul sito dell’università, e richiederà il pagamento di una marca da bollo.
Dalla mia esperienza posso dire che la maggior parte delle università e bss richiedono che sul trascritto compaiano gli esami superati, con voto e peso in crediti, ma anche gli esami in programma, che spesso richiedono un trascritto altro. Nel mio caso, infatti, ho dovuto richiedere due trascritti: uno degli esami superati (grade transcript) e uno degli esami nel piano di studio (study plan transcript).
Il CV
Come detto prima, i MSc non richiedono esperienza lavorativa, ma in molti casi averne aiuta molto nella selezione. In un CV per una candidatura universitaria consiglio di inserire un po’ di tutto, anche se sembra “poco rilevante”, che siano esperienze lavorative passate, tirocini, volontariato, corsi online di programmazione o utilizzo di software, o partecipazioni attive in associazioni studentesche. Se una business school richiede un CV nel suo processo di candidatura, probabilmente è perché ha misure di valutazione dei candidati abbastanza olistiche, che quindi valutano anche l’intraprendenza del candidato, anche se le attività svolte sono poco rilevanti per il programma a cui si sta candidando.
La lettera motivazionale (o cover letter)
In una lettera motivazionale viene generalmente chiesto al candidato perché egli voglia studiare proprio quel programma e proprio in quell’ateneo. Ecco, non posso dare molti suggerimenti su questo elemento perché non c’è alcuna scienza esatta, ma personalmente penso che ci siano delle linee guida non scritte da tenere a mente:
- Non essere scontati, per evitare di consegnare la duecentesima application in cui si nomina il “prestigio dell’università”
- Mostrare di sapere cosa si sta facendo: conoscere il programma, nel senso i corsi, gli electives, le attività extracurriculari, eccetera, e saper motivare perché questi elementi abbiano portato a scegliere proprio quel programma (sempre evitando banalità)
- Dimostrare di avere un piano di carriera per cui quel programma potrebbe essere utile (ad esempio, “voglio iniziare la mia carriera nell’FP&A, per questo voglio studiare in questo master che si concentra sia sulla contabilità che sulla finanza”
- Dire qualcosa di sé (e motivarlo): non si parla di lodarsi e imbrodarsi, ma di descriversi, ad esempio descrivendo alcune delle proprie esperienze recenti che hanno portato alla decisione di specializzarsi in quel dato ambito, noi di Invenicement, ad esempio, potremmo dire che il nostro partecipare in una club di finanza ci ha fatto appassionare al campo, anche per via di seminari e workshops.
Certo queste cose son da prendere con le pinze, io non ho grande stima delle lettera motivazionali quindi magari sono prevenuto, ma penso sia ragionevole pensare che il personale dell’admissions office di qualsiasi università sappia riconoscere le cover letters scritte a tavolino nel modo più impostato possibile per fare una bella impressione, quindi a mio pare il focus deve essere quello di essere coerenti, credibili, sinceri e un po’ originali, tanto con tutta probabilità la cover letter non sarà l’elemento che farà guadagnare il posto, semmai potrebbe farlo perdere.
Le lettere di raccomandazione
Queste tendono a saltare fuori nei programmi più ambiti ed elitari, dove quindi si tende a fare molta selezione e si vuole che qualcuno certifichi le qualità del candidato. Personalmente mi sono state richieste una volta sola (dalla Stockholm School of Economics) ed erano comunque facoltative, seppur venisse specificato che statisticamente venissero approvate più candidature munite di raccomandazioni rispetto al contrario.
Dei possibili “raccomandanti” potrebbero essere professori universitari (magari il proprio relatore), o il tutor aziendale del proprio tirocinio, se rilevante (magari si è fatto il tirocinio in una banca o assicurazione conosciuta anche all’estero).
esauriti i “documentini”, è il momento di parlare dei due test che ho già citato diverse volte.
La prova delle competenze di inglese
Il tipo di attestazione di lingua inglese ammessa varia da università a università ma è da star sicuri che verrà chiesta. Alcune università ammettono l’aver frequentato una triennale in lingua inglese come prova sufficiente, ma la maggior parte chiede il risultato di un test standardizzato. Di questi test, quelli che ho visto chiedere sono
-IELTS (Academic)
-TOEFL IBT
-Cambridge Assessment English
Come linea generale, ho notato che l’IELTS Academic è quello che viene ammesso più spesso (praticamente sempre), il TOEFL quasi sempre, il Cambridge Assessment invece, non è ammesso da tutte le università, spesso non è proprio nominato. Consiglio caldamente di fare l’IELTS, perché devo ancora trovare un’università in Europa che non lo ammetta. Ad ogni modo, di questi test verrà richiesto un punteggio minimo, che generalmente si aggira intorno al B2-C1 secondo il framework europeo. Certo vien da se che non dovrebbe essere un problema raggiungere quel livello, nella prospettiva di andare a studiare, vivere, dare esami e scrivere una tesi in lingua.
Un possibile elemento per scegliere tra TOEFL e IELTS potrebbe essere quello dell’attenzione alla grammatica, che è maggiore nell’IELTS, mentre nel TOEFL è più apprezzata la fluidità nel parlare. Inoltre, il TOEFL è più incentrato sulla pronuncia americana dell’inglese (cosa che ha rilievo nelle sezioni di speaking e listening), mentre l’IELTS si basa più sulla pronuncia britannica.
Non sono familiare con la struttura di cambridge e TOEFL, ma conosco molto bene l’IELTS, trovo utile quindi descriverlo nel dettaglio, dando anche i miei consigli per prepararlo ed affrontarlo al meglio.
L’IELTS
L’IELTS (International English Language Testing System) è un esame dalla durata di circa 3 ore, che si divide in quattro sezioni: Speaking, Writing, Reading e Listening. Per ogni sezione viene assegnato un punteggio da 1 a 9, di cui viene fatta la media per assegnare un punteggio di overall. Per capire più o meno a quanto equivalga il punteggio dell’IELTS si può guardare la tabella di conversione IELTS-CEFR (Common European Framework of Reference for languages):

L’IELTS (International English Language Testing System) è un esame dalla durata di circa 3 ore, che si divide in quattro sezioni: Speaking, Writing, Reading e Listening. Per ogni sezione viene assegnato un punteggio da 1 a 9, di cui viene fatta la media per assegnare un punteggio di overall. Per capire più o meno a quanto equivalga il punteggio dell’IELTS si può guardare la tabella di conversione IELTS-CEFR (Common European Framework of Reference for languages)
Le università tendono a chiedere un overall minimo e anche un punteggio minimo per ogni sezione. Ad esempio, spesso viene chiesto un overall minimo di 7.0, con almeno 6.5 in ogni sezione. Questo per evitare di avere studenti che magari capiscono tutto ciò che gli viene detto ma che non sanno proferire parola in inglese. Il massimo che ho visto chiedere è stato 7.5 di overall con almeno 7 per sezione.


Fare il test costa circa 240 euro, e il risultato è valido per 2 anni (da tenere a mente, per evitare di candidarsi con un test scaduto). Il mio consiglio per prepararsi adeguatamente al test è quello di conoscere bene la struttura del test. Dico questo perché anche chi sa bene l’inglese rischia di prendere un punteggio sottotono, siccome il test è molto intenso. Penso sia utile ora descrivere le quattro sezioni e dare qualche consiglio su come prepararle.
Speaking
è un colloquio di circa quindici minuti con un esaminatore madrelingua con cui si avrà una conversazione simulata divisa in tre sezioni. La prima è una breve presentazione, in cui vengono chieste un paio di domande semplici, ad esempio “da dove vieni, com’è la tua città natale?”. La seconda è a mio avviso la più temibile, ed è un “monologo” che si deve fare su un argomento dato: l’esaminatore mostra all’esaminato una carta con scritto il tema e una serie di punti che dovranno essere toccati durante il monologo, dopodiché dà all’esaminato un minuto (cronometrato) per prepararsi e prendere qualche appuntino su quello che dirà; scaduto il minuto l’esaminato deve parlare per due minuti di fila, e toccare tutti i punti. I temi della sezione due sono imprevedibili, possono variare dal “raccontami di un oggetto a cui tieni molto”, al “dimmi di una volta in cui ti sei sentito offeso”. La terza sezione è un “dibattito” su un tema astratto, dove esaminato ed esaminatore dibattono di un tema che ha a che fare con quello della sezione due. Per esempio, se nella sezione due il monologo è stato su “un momento in cui ci si è sentiti realizzati”, la prima domanda della sezione tre potrebbe essere “cosa ne pensi del vantarsi sui social media?”.
La sezione speaking è quella che spesso spaventa di più, il mio consiglio per prepararsi è simulare la prova con qualcuno, e guardare tanti video di gente che fa lo stesso (youtube ne è pieno), l’importante è familiarizzare con la struttura e far pratica con i tempi, che sono molto rigidi.
Listening
Non è molto diverso dagli esercizi di listening che si facevano durante le lezioni di inglese delle medie: viene riprodotta una traccia e ascoltando bisogna completare frasi e scegliere alternative su un form. La parte difficile è che la traccia viene riprodotta una sola volta e non può essere fermata a piacimento, questo significa che bisogna rispondere mentre si ascolta. Per preparare questa sezione consiglio di sfruttare il materiale sul sito del british council (l’organizzazione del test) e altri mock test trovabili facilmente in rete.
Reading
anche qui non c’è molta differenza dalle verifiche di inglese fatte nei primi cicli scolastici, fatto salvo la complessità del linguaggio usato (qui si parla dell’IELTS academic, quindi i testi sono di stampo accademico e presentano spesso e volentieri termini tecnici di cui il lettore medio non sa il significato). Si leggeranno una serie di testi, cui seguono esercizi di vario stampo, dall’identificazione di certi paragrafi, a domande a risposta multipla, a domande aperte. Come già detto la difficoltà della sezione sta nel linguaggio usato e nei temi poco familiari ai più, e aggiungo anche che alcune domande sono volutamente ambigue. Tutto sommato però, non ho trovato questa sezione troppo difficile, ma merita comunque un po’ di tempo per essere preparata, anche qui sfruttando i mock ufficiali sul sito.
Writing
Di gran lunga la sezione più difficile e la più difficile da preparare. Si compone di due task, entrambe consistono nella stesura di un testo e pesano entrambe per metà del punteggio.
La prima task è la più breve, e consiste generalmente nella descrizione di un’immagine, che potrà essere un grafico (a torta, a barre, a linea), un diagramma di processo (ad esempio il processo di produzione del calcestruzzo), o una mappa (per esempio la mappa di un’isola prima e dopo la costruzione di un resort turistico). A questa task si consiglia di dedicare 20 minuti dell’ora prevista per la sezione, per scrivere un passage da almeno 150 parole.
La seconda task è più astratta, viene chiesto all’esaminato di descrivere la propria posizione riguardo ad uno statement, o di contestare la posizione di qualcun altro, o di fare un confronto tra due posizioni. A questa task va dedicato il resto dell’ora, per scrivere almeno 250 parole. A mio avviso il fattore fortuna in questa task è davvero fondamentale, in quanto c’è una gran differenza di difficoltà tra i possibili compiti.
Come detto sopra, la sezione writing è molto difficile a mio parere, per prepararla consiglio di farsi dei mock cronometrati (scrivere 400 parole in due testi in un’ora non è banale), e potenzialmente far correggere i risultati da qualcun altro, seguendo le linee guida di grading che si trovano sul sito del british council. Per questa sezione, e per il reading, potrebbe inoltre essere utile l’utilizzo di un libro come “focus on academic skills for IELTS”, o simili.
Tutto sommato, per qualcuno che sa bene l’inglese (quantomeno abbastanza da essere sicuro di andare a fare un master in inglese), l’IELTS Academic non sarà un grosso scoglio da superare. Anche perché, come dirò in seguito, essere in grado di avere una buona performance nel GMAT ha come requisito scontato il sapere molto bene l’inglese. Ma a mio avviso è meglio non prenderlo sottogamba, in quanto le business schools sono molto intransigenti: ci si può presentare anche con un punteggio overall di 8, ma se lo score di una delle sezioni è 6, alcune potrebbero comunque rifiutare la candidatura. Ad esempio io, pur avendo un overall di 8 su 9, ho avuto uno score di 7 nel writing, arrivando pericolosamente vicino ad essere rifiutato da alcune delle mie università target.
Il Test standardizzato (GMAT/GRE)
A differenza della prova di competenza di lingua, questo punto non si applica sempre. Molte università e business schools non richiedono questo genere di test per candidarsi, ma preferisco essere chiaro: quelle più appetibili, salvo rare eccezioni, lo richiedono. È impossibile dare una regola generale per dire quali business schools richiedano un punteggio GMAT o GRE, ma davvero, se si ha l’ambizione di andare in una top 100, è meglio mettersi nell’ordine di idee di farlo. Io, ad esempio, mi sono candidato in 6 università, di tutti i “tiers”, e solamente una non mi ha richiesto esplicitamente il GMAT.
La decisione di fare o meno un test standardizzato va fatta quindi mentre si scrive la lista delle proprie università target, guardando nella sezione “application and admission” dei master che si stanno tenendo in considerazione. Dopo questa prima introduzione, entro nel vivo del cosa siano questi test.
Il GMAT (Graduate Management Admission Test) e il GRE (Graduate Record Examination) sono due test che mirano a valutare le capacità accademiche di uno studente. Sono entrambi standardizzati, il che vuol dire che sono sempre presentati e valutati nella stessa maniera. È importante dire che nessuno dei due ha come requisito conoscenze specifiche di una materia (non ci sono domande di economia, per esempio), quello che si propongono di valutare sono le competenze analitiche, quantitative e critiche del soggetto. Gli unici requisiti impliciti sono la conoscenza (io direi eccellente) della lingua inglese e della matematica (non matematica avanzata, si parla del livello da superiori che in teoria tutti hanno).
Molti si trovano in difficoltà sul quale test scegliere tra i due, ma anche qua darei i miei 2 cents: per chi vuole studiare materie economiche, finanziare o di business in Europa consiglio largamente di fare il GMAT. Nella mia aneddotica il GRE spesso è dato come alternativa (spesso però il punteggio viene convertito in un punteggio GMAT, nel momento della stilatura delle graduatorie), ma ho notato che altrettanto spesso non è neanche ammesso, o è sconsigliato. Questo potrebbe non applicarsi quando si guarda a business schools in altre regioni del mondo, o per programmi particolari, come quelli particolarmente quantitative-oriented (come, ad esempio, i master in Quantitative Finance.). In qualunque caso non tratterò il GRE, in quanto non lo conosco e non avrei nulla di utile da dire, e neanche sulle differenze tra i due test. Tratterò invece estensivamente il GMAT.
Il GMAT
Non potrò mai ripeterlo abbastanza: la preparazione del GMAT richiede tempo. Inizio col dire questo perché il GMAT è sicuramente lo scoglio più difficile da superare per chi vuole portare avanti il piano di studiare in una business school più o meno prestigiosa. Quindi fin da subito è da mettere in chiaro che si parla di mesi di preparazione, anche per i più preparati in matematica/inglese. Certo quando si parla di questo test, la soggettività è davvero rilevante, ora vediamo perché.
Il GMAT è, come detto prima in via generale, un test che punta a valutare le capacità accademiche, questo vuol dire che non vi si troveranno domande di management, finanza, diritto, economia o simili; ma neanche domande di matematica o di inglese fini a se stesse, la lingua e la matematica sono usate come strumenti per valutare le capacità logiche, critiche e di analisi dello studente.
Il test è fatto al computer, ed è un test adattivo, il che vuol dire che è gestito da un algoritmo che decide quale sarà la prossima domanda. Non è chiaro a nessuno il criterio preciso in base al quale l’algoritmo decida quale domande dare, ma in linea generale, più si sta andando bene, più difficili saranno le domande. Ma voglio precisare subito che questo non vuol dire che se arriva una domanda facile allora vuol dire che si sta andando male, innanzitutto la classificazione della difficoltà delle domande è soggettiva (per esempio, io sbagliavo spesso domande “facili” di geometria, mentre rispondevo quasi sempre correttamente alle domande “difficili” di statistica), e in secondo luogo perché magari il software ha deciso di testare un altro aspetto rispetto a quello delle domande precedenti, e quindi varia un po’ la difficoltà, quindi il modo migliore di affrontare l’algoritmo è semplicemente ignorarlo.
Lo metto in chiaro perché molti studenti provano a trovare delle strategie per comprendere l’algoritmo e sfruttarlo per prendere punteggi più alti (per esempio sbagliare volutamente qualche domanda all’inizio per averne di più facili nel resto del test), è uno spreco di tempo e abbatterà totalmente il punteggio finale: the algorithm is smarter than you are.
L’adattività del test segna anche un altro aspetto importantissimo del test: esso va finito. Non si possono (o meglio, non si devono) lasciare domande in bianco (si può procedere solo una domanda alla volta e non si può tornare indietro), ma è fondamentale non lasciare alcuna domanda alla fine della sezione quando scade il tempo. Piuttosto di lasciare domande in bianco è meglio sparare a caso le ultime 3,4 domande e chiudere la sezione, se si sono tarati male i tempi. Impatterà molto meno sul punteggio finale.
Il test si compone di 4 sezioni:
- Quantitative reasoning
- Verbal Reasoning
- Integrated Reasoning (IR)
- Analytical Writing Assignment (AWA)
Poi le descriverò approfonditamente come ho fatto per l’IELTS, ma prima vorrei spiegare come queste concorrono alla formazione del punteggio, e il valore stesso del punteggio.

Uno score report del GMAT si compone di tre elementi:
- Total Score: il dato più importante, va da 200 a 800 e deriva dalla performance nelle sezioni quantitative e verbal
- Lo score della sezione integrated reasoning: da 1 a 8
- Lo score della sezione AWA: da 0 a 6
Il secondo e il terzo componente sono di importanza minore, l’AWA in alcuni casi non è nemmeno chiesto (attenzione però che di tanto in tanto viene chiesto uno score per questa sezione, anche se generalmente è il minimo indispensabile). In ogni caso, la sezione IR e l’AWA sono anche le due sezioni più “facili”, per le quali serve poca o nessuna preparazione se non un po’ di pratica.
Quello che importa è il total score da 200 a 800. Come detto, esso deriva dalle sezioni quantitative reasoning e verbal reasoning (da qui in poi “quant” e “verbal”): la performance di queste due sezioni determina due “scaled scores” da 6 a 51, e questi due scaled scores vengono incrociati in una matrice (Sotto) per determinare il valore finale da 0 a 800, a intervalli di 10.

Nessuno sa veramente come si calcolino i due scaled scores, fare 20 domande giuste in una sezione non vuol dire automaticamente avere uno scaled score più alto di qualcuno che ne ha fatte giuste 18, questo perché viene tenuta di conto la difficoltà delle domande, ma ancora una volta, nessuno sa come funzioni l’algoritmo, quindi tanto vale ignorare la cosa.
La vera questione è “quale punteggio mi serve?” e la risposta varia tantissimo, a seconda di quanto sia selettivo il programma al quale ci si sta candidando e soprattutto l’ateneo. Bisogna assolutamente controllare la sezione “application and admission” dei propri programmi target.
Le università che richiedono il GMAT tendono a dare un punteggio minimo per candidarsi (che di nuovo, varia molto a seconda del prestigio dell’università, il minimo può essere 500, quanto 560, quanto 600 o più), per poi spesso dare delle statistiche di ammissione, come il punteggio medio delle persone ammesse, o nei casi più precisi anche mediana e range. Altre università e business schools hanno sistemi ancora diversi, per esempio dare una soglia minima oltre la quale (sono soddisfatti gli altri requisiti) si è automaticamente ammessi, come per diversi master all’università di Maastricht, che da’ questa possibilità agli studenti con 650+ nel GMAT. In altri casi ancora il GMAT stesso non è neanche obbligatorio, ma non averlo porta ad essere messi in fondo alla graduatoria, dietro a tutti gli applicants che hanno presentato uno score GMAT, e che sono ordinati per total score, come accade, ad esempio, alla Gothenburg University in Svezia.
E ancora, in certi casi è esplicitamente detto che la graduatoria viene fatta in base al total score del GMAT, in altri casi viene detto che il processo di ammissione è più “olistico”, dove quindi il test è solo uno degli elementi di valutazione.
Quindi, per farsi un’idea di quale sia il proprio target score, consiglio di prendere tutti i programmi cui si punta, e studiare bene le statistiche di ammissione sulla pagina di quel master.



Per farsi un’idea di quanto sarà difficile raggiungere un certo score si può dare un’occhiata ai dati ufficiali sul sito del GMAC (l’ente che propone il test), mba.com, dove si troveranno i percentili dei risultati.
Dalla tabella risulta che il risultato medio del test sia circa 570, mentre quello mediano è intorno al 590. Oltre la soglia dei 600 la scalata inizia a farsi più ardua (ottenere un 650 vuol dire essere nel 72° percentile) fino ad arrivare alla soglia del 700 (88° percentile), oltre la quale è veramente, veramente difficile andare.

Per dare un’idea generale di quale punteggio apre le porte a quale business school: un punteggio intorno al 550 tende a permettere l’ammissione a buone università, spesso o pubbliche o di grandi dimensioni (come per esempio l’università di Uppsala in Svezia); un punteggio intorno al 600-650 è generalmente considerato accettabile dalla maggior parte delle università, anche di alta caratura (ad esempio la Rotterdam School of Management), se si è tra il 650 e il 700 si può stare tranquilli di essere ammessi ovunque, tranne nelle grandi eccezioni cui si può sperare di accedere con un 700+, come Oxford, Cambridge, HEC Paris, Stanford, LSE, etc. (anche se per entrare in queste spesso il 700+ al GMAT non è nemmeno sufficiente, bisogna avere anche una media eccelsa e un gran curriculum). In ultimo, anche nella stessa università è possibile trovare grosse differenze di requisiti a seconda del programma: un esempio lampante è Stockholm School of Economics, che vede una mediana di 640 nel suo MSc in Accounting, ma una mediana spaventosa di 730 nel suo MSc in Economics.
Un ultima cosa da dire sul punteggio è che talvolta, oltre che all’ammissione, apre anche le porte a borse di studio e altre agevolazioni.
Detto questo, vediamo la struttura vera e propria del test.
Il test ha una durata di poco più di tre ore, due di queste sono allocate alle sezioni Quant (62 minuti) e Verbal (65minuti), mentre AWA e IR contano mezz’ora ciascuna.
Prima dell’inizio del test vengono date tre alternative sull’ordine in cui affrontare le tre sezioni, in pratica se fare prima quant, prima verbal, o prima AWA e IR. Qualsiasi sia l’opzione scelta, l’esame è diviso in tre blocchi da circa un’ora, tra i quali ci saranno dei brevi break da 8 minuti in cui andare in bagno e riposare gli occhi.
Qua non ho consigli da dare, l’opzione migliore dipende dalla persona, io personalmente trovo che fare prima le due sezioni meno importanti sia un po’ stupido, siccome si spreca il picco di energia, ma altri mi hanno detto che preferiscono iniziare con quelle perché l’inizio è anche il picco d’ansia, de gustibus non disputandum.
Un aspetto importante del test è che (ad oggi) può essere fatto sia online che in presenza, ma le differenze tra le due opzioni non toccano la struttura del test. (consiglio, comunque, di farlo online perchè in Italia ci sono pochi testing centres, se non erro solo uno a Milano, uno a Trento e uno a Roma.)
Vediamo ora nel dettaglio le quattro sezioni:
Quantitative Reasoning
La sezione quantitative è quella “di matematica”: si compone di 31 quesiti a risposta multipla (sempre, e sono sempre 5 opzioni) da fare in 62 minuti, e questi quesiti possono essere di due tipi:
- Problem solving
- Data Sufficiency (DS)
Non c’è molto da dire sul primo tipo di domanda, sono problemi di matematica e logica di grande varietà, ma la loro struttura è tutto sommato familiare a chiunque abbia fatto un qualsiasi esame o verifica di matematica.
Non è invece così per gli esercizi del secondo tipo, data sufficiency: questi sono un tipo di domanda che si trova solamente nel GMAT: una domanda di DS si compone di uno “stem”, che può essere un’equazione, un problema verbale, un problema di geometria, un sistema di equazioni, o altro ancora. Questo stem è irrisolvibile di per se (per esempio, un’equazione in due variabili, tipo x+y=?), per risolvere la domanda posta nello stem vengono poi dati due statement (mettiamo, x=1 e y=2), i due statement sono da prendere come veri e non mutualmente esclusivi, la domanda che viene posta è sostanzialmente “puoi rispondere alla domanda dello stem con i dati che hai nei due statement?”. E le opzioni di risposta saranno sempre le stesse 5
a) per rispondere è sufficiente sapere il primo statement, ma non è sufficiente il secondo
b) per rispondere è sufficiente il secondo statement, ma non è sufficiente il primo
c) per rispondere sono necessari entrambi gli statement
d) entrambi gli statement, da soli, sono sufficienti a rispondere
e) anche con entrambi gli statement, non è possibile rispondere
Nell’esempio che ho dato, la risposta sarebbe quindi c.
Ripeto che la matematica trovata nella sezione quantitative non è eccessivamente complessa: non ci saranno, ad esempio, derivate o integrali, e neanche equazioni o disequazioni particolarmente complesse (cubiche, ad esempio). Tuttavia, tutto ciò che c’è prima è fondamentale, anche il saper fare moltiplicazioni e divisioni a mano, perché non è permesso l’uso di alcun tipo di calcolatrice. Tutto ciò che si avrà durante la prova saranno dei pennarelli cancellabili e una lavagnetta (se si sceglie di fare il test a casa) o dei fogli laminati (in presenza). Quindi, per preparare la sezione quant, la base è riprendere in mano tutto, dall’aritmetica delle elementari, all’algebra, alla statistica basilare (poca roba, tipo grafici a barre, mediana, range e poco altro.) e fare tanta, tanta pratica in modo produttivo (dopo aver descritto la sezione verbal entrerò nel merito della preparazione generale del GMAT.
Verbal Reasoning
Questa è la sezione “di inglese”: si compone di 36 quesiti cui rispondere in 65 minuti. I quesiti sono sempre a risposta multipla e le opzioni sono sempre 5. Quello si valuta qui è la capacità di analisi e comprensione del testo, la velocità nel riconoscere errori, frasi inconcludenti, o fallacie logiche.
Dalla mia aneddotica posso dire che la difficoltà di questa sezione è estremamente soggettiva: per quanto riguarda me, è stata il mio punto forte, fin da subito ho iniziato a volare sul 70° percentile di punteggi, e alla fine del mio studio volavo sull’80° (mentre nella sezione quant sono andato sotto il punteggio mediano), ma per molti miei peer (anche di madrelingua inglese), questa sezione è incredibilmente più difficile.
Questo si nota anche dalla distribuzione dello scaled score: il punteggio mediano della sezione verbal è 28/51, mentre quello della sezione quant è intorno al 45/51, un differenziale abissale.
Questa soggettività dipende dall’abilità in lingua inglese: non sapere bene la lingua in questa sezione è un dramma, i testi sono estrapolati da studi accademici e tesi di laurea su argomenti lontanissimi dallo studente medio che fa il GMAT, e le altre task che vengono date potrebbero risultare addirittura impossibili a chi non mastica bene l’inglese.
Ci sono tre tipi di quesito nella sezione verbal:
Sentence Correction (SC): nella sezione verbal tra gli 11 e i 16 quesiti saranno di questo genere. Una domanda di SC consiste in una frase, di cui una parte (o l’interezza) sarò sottolineata. La parte sottolineata può contenere uno o più errori, e verranno proposti 5 modi di scrivere la frase, di cui uno corretto. È da notarsi che la prima opzione di risposta sarà sempre quella di riscrivere la frase esattamente come data nella domanda.
Molti trovano che la sezione SC sia la più difficile del verbal, questo perché le tipologie di errore sono molteplici (ci possono essere errori grammaticali, logici, o idiomatici), e perché spesso e volentieri la risposta corretta suona “sbagliata”, anche a un nativo anglofono.
Il modo migliore per procedere in questa sezione è quello di andare ad esclusione: riconoscere gli errori più immediati (generalmente quelli grammaticali, come l’assenza della “s” nella terza persona singolare, o un genitivo sassone messo a caso), per eliminare subito una o due opzioni, e potersi concentrare su quelle più ambigue. Questo per puro time management: è da tenere bene a mente che il tempo che andrebbe allocato in una domanda di verbal è di circa 2 minuti. Ad ogni modo, dopo aver eliminato le opzioni palesemente errate per grammatica, è consigliabile passare ad altri tipi di errori, ad esempio un mismatch tra soggetti, verbi e pronomi (ad esempio, il soggetto è “the flock of doves” ma poi ci si riferisce ad esso come “them”). Fatto questo, se ci sono ancora opzioni aperte, passare a cercare le fallacie logiche (ad esempio, una frase che inizia con “siccome…” ma non da mai una conseguenza). Quest’ordine è quello che con me ha funzionato meglio, ma so che molti usano altre strategia, per esempio cercare le fallacie logiche prima dei mismatch; è molto soggettivo, ma lo si capisce facendo pratica.
Reading Comprehension (RC): le domande di RC hanno una struttura parecchio intuitiva: viene dato un testo e al testo sono legati due o tre quesiti a risposta multipla. Non ho particolari consigli da dare a riguardo, siccome l’approccio è totalmente soggettivo, alcuni preferiscono leggere una volta sola il testo ma bene, altri preferiscono scorrerlo velocemente e poi cercare le risposte a seconda del quesito che stanno affrontando. Vorrei comunque dire che le domande di RC possono mettere un po’ di panico perché la lettura del testo può prendere molto tempo e quindi sballare il time management: a proposito preciserei che se anche leggere il testo prende 4 o 5 minuti, ciò non vuol dire che si siano spesi su una sola domanda, siccome le domande relative al testo saranno più di una. Un buon consiglio di time management sarebbe di prendere mentalmente nota del cronometro quando ci si trova di fronte un reading e farsi un appunto (per esempio, se si è al minuto 32, magari segnarsi 32+6, per dire che il blocco di RC da tre domande deve essere concluso entro il minuto 38, a prescindere da quanto tempo prenda la lettura).
Critical Reasoning (CR): le domande di CR sono abbastanza variegate, perché la sezione misura la capacità di valutare opinioni, elaborarle, o definire piani di azione. Una tipica domanda di CR si basa su un breve testo, magari uno scambio di opinioni, cui segue una serie di informazioni aggiuntive, con la domanda “quale di questi fatti, se vero, avvalorerebbe di più la tesi del primo interlocutore?”. Oppure, si chiede quale sia la fallacia logica nella tesi data, o, ancora, quale sia il ruolo di certe preposizioni all’interno del testo (ad esempio, questa parte è la tesi, quest’altra invece è un’argomentazione a supporto della tesi).
Le domande di CR sono generalmente reputate le più semplici della sezione verbal, ma dalla mia aneddotica, sono anche le meno numerose.
Integrated Reasoning (IR)
Questa è la prima di quelle che io chiamo “sezioni separate”, in quanto non concorrono al total score, ma hanno uno score a se. Le domande di IR sono molto variegate, ma sono tutte incentrate sulla capacità di leggere dati, grafici e tabelle, oppure di utilizzare questi dati per dare risposte a certi quesiti. Una domanda tipica di IR potrà partire da un istogramma (metti, temperature massime e minime dal 2010 al 2022), e sotto si dovrà rispondere a domande come “la temperatura massima mediana dal 2012 al 2022 è…”.
Di nota è che in questa sezione sarà per la prima volta disponibile l’utilizzo di una calcolatrice, ma non fisica, più che altro un programmino fornito nel software del test. Consiglio di fare un po’ di pratica con la calcolatrice virtuale perché è veramente scomoda.
Questa sezione dura 30 minuti, e si compone di 12 quesiti.
È largamente condiviso che sia la sezione più facile, nonché la meno importante. Per la sua preparazione consiglio solamente di non saltarla nei mock (ci arrivo dopo), e soprattutto di usare la calcolatrice virtuale. Tutto questo per non avere un punteggio che sfiguri (magari un 650 con un IR nel 20° percentile).
Analytical Writing Assessment (AWA)
L’AWA è una sezione curiosa, anche perché è l’unica a non essere a risposta multipla: essa consiste nella stesura di un testo in cui si analizza un’opinione data, trovando in essa gli errori logici nel ragionamento o nella formulazione dell’opinione. Il testo verrà poi valutato da un algoritmo e poi da un umano. Se il voto dato dell’algoritmo differisce troppo dal voto dato dall’umano, una seconda persona valuterà il testo.
L’AWA, come l’altra sezione separata, generalmente non è troppo importante, ma è da considerare che in un ristretto numero di casi, per l’application può essere richiesto un punteggio minimo per l’AWA (immagino per attestare che il candidato sarà in grado di scrivere essays e tesi convincenti presso l’università cui è candidato), quindi non è da trascurare totalmente.
Nella stesura del testo dell’AWA, il fondamentale è essere organizzati e schematici (si tenga sempre a mente che il testo è valutato da un computer, quindi più è schematico, più sarà di facile comprensione).
Quindi consiglio di scegliersi uno schema e usare sempre quello durante i mock tests, ad esempio
- Paragrafo uno: descrivere la tesi che si andrà a criticare e le assunzioni su cui poggia, introducendo magari brevemente i problemi di quest’ultima.
- Paragrafo due: prima fallacia
- Paragrafo tre: altra fallacia
- Paragrafo quattro: altra fallacia
- Paragrafo cinque: conclusione, ribadire la debolezza della tesi data, e dire se ci sono degli elementi che potrebbero invece rafforzarla.
Questo è un esempio, ma ognuno dovrebbe provare a trovare uno schema personale. Altro consiglio è usare SEMPRE espressioni di collegamento tra i paragrafi e le frasi (in the first place, moreover, however, to conclude…) e cercare di fare quanti più esempi possibili.
Inoltre, preciso che non è necessario che le critiche all’opinione siano sagaci, originali e precise, l’AWA valuta più la capacità di esprimersi coerentemente che la capacità di essere originali e lapidari nelle critiche. Anche perché ragionare troppo sulle critiche da muovere può facilmente erodere il tempo a disposizione, che è solo di 30 minuti.
Ora che ho descritto in maniera approfondita le sezioni e la struttura del test vorrei trattare la preparazione dello stesso. Questo perché ho notato (sia in seguito alla mia preparazione che a quella di amici e contatti via web) che la parte più difficile nel preparare il test è paradossalmente iniziare a studiare.
Questo perché, come già detto, il test non è un esame per cui ci si prepara in maniera lineare (compro i libri e studio).
La preparazione del test
Le risorse con cui prepararsi
Per la preparazione del test si possono usare diverse risorse, libri, video, forum, lezioni private e piattaforme online. È estremamente soggettivo quali e quante ne servano, in quanto dipende dal proprio punto di partenza, dal proprio target score, dal proprio livello di inglese e altre variabili. Ad ogni modo, ce ne sono due che non possono essere trascurate da nessuno studente: La GMAT Official guide e MBA.com.
La GMAT Official guide (OG) è una collana di tre libri, pubblicata direttamente dal GMAC. I tre libri sono la OG, la Quantitative review e la Verbal Review. Questi tre libri sono uno degli unici due modi per avere a disposizione domande ufficiali dei test passati. La OG da’ un mix di tutte le sezioni, mentre le altre due hanno un focus sulle due sezioni principali. È da sottolineare che questi testi non presentano “nozioni” utili, ma praticamente solo esercizi, ciononostante sono reputati il sacro graal per la preparazione del test, in quanto fare pratica è una delle poche cose che si possono fare per migliorare il proprio punteggio.
Non è necessario comprare l’ultima edizione della OG, anche prendere quella di un paio di anni prima va bene e permette di risparmiare un po’ di soldi. Tuttavia, è fondamentale, a mio parere, che in quell’edizione sia compresa la chiave per l’accesso alla piattaforma online Wiley. Su questa piattaforma si troveranno gli stessi quesiti della guida cartacea, più alcune esclusive del sito. La cosa importante, però, è che la piattaforma ha una funzione di “question builder”, ovvero la possibilità di costruirsi degli assesment personalizzati, con un tot di domande di verbal, quant o altro, e addirittura aggiungere filtri per selezionare solo domande di un certo tipo o su un certo argomento. Il software poi lancerà l’assesment come se fosse in sede di esame, con un cronometro, permettendo di lavorare anche sulle proprie capacità di time management. Io consiglio di usare questa piattaforma, piuttosto che il libro.
MBA.com è il sito ufficiale del GMAC, da qui si prenota il test e si inviano i risultati alle università dopo averlo sostenuto. Ma non finisce qui: su questo sito si trova anche l’unica possibilità (in assoluto) di fare dei mock test veritieri dell’esame. I mock test permettono di simulare l’esame, e confrontarsi col vero algoritmo che ci si troverà di fronte il fatidico giorno. Questo è l’unico modo attendibile di testare la propria performance, ricevendo istantaneamente il punteggio.
Sul sito sono disponibili sei mock in totale, di cui i primi due gratuiti per chiunque si registri al sito, e gli altri 4 acquistabili (a un prezzo di circa 25 euro l’uno). Quindi lo dico subito: queste possibilità NON vanno sprecate. I test possono essere rifatti, ma le domande saranno simili, e quindi il punteggio non sarà assolutamente rappresentativo. Una volta esauriti i mock, non si potranno più fare test per vedere dove ci si trova in termini di punteggio, e per qualcuno che punta a punteggi alti (700+), questa sarebbe una tragedia. Il mio consiglio è di fare il primo mock test dopo essere già molto familiari con la struttura del test e aver colmato certe lacune basilari (per esempio i termini matematici in lingua inglese, sarebbe una tragedia perdere punti su un mock ufficiale perché non si ha presente il significato di “integer”).
Queste due resources sono imprescindibili per la preparazione. Ma ce ne sono altre, facoltative:
Ci sono dei libri (non ufficiali) che fanno da guida attraverso tutti i concetti che servono a rispondere alle domande del GMAT, ad esempio tramite un mega ripasso di tutta la matematica che viene testata, dalle operazioni in colonna alla statistica. Un esempio la GMAT strategy guide offerta da Manhattan prep.
Questi libri possono essere molto utili perché velocizzano il ripasso di matematica e inglese, per evitare di tirar fuori i vecchi libri delle elementari, medie e superiori.
Un altro modo di fare questo ripasso è usare delle piattaforme online, come il Target Test Prep (TTP), che io ho usato. Questa piattaforma genera un “corso” di e-learning personalizzato in base a quanto tempo si ha prima delle scadenze, e procede a spiegare nel dettaglio qualsiasi piccolezza matematica o verbale, con continue domande per argomento e mock test (non ufficiali), oltre che strategie molto importanti di time management e analisi dei quesiti. Questa è una delle risorse più costose a cui ci si possa rivolgere, ma anche una delle più facilmente approcciabili, perché presenta “la pappa pronta”, e lo studente deve solo mettersi la e seguire il corso, prendendo appunti e rispondendo alle domande e ai test periodici.
Un altro mezzo interessante è il forum gmat club. Non l’ho usato molto, personalmente, ma ci sono tante cose interessanti, è popolato da tutor e studenti, e ha in se una sorta di question builder non ufficiale, in cui si può scegliere anche le domande in base alla difficoltà. È particolarmente utile per scontrarsi con gli argomenti più ostici, o per conoscere qualche peer candidato alle stesse università.
In ultimo, c’è l’opportunità di seguire corsi e tutoring individuali o di gruppo. Questa è decisamente la possibilità più costosa, ma leggendo in giro sembra anche che sia la più efficace, soprattutto se i tempi sono stretti. Noi di Invenicement abbiamo ospitato un seminario con i tutor di 700+ Club, che fornisce il servizio.
Questi sono i tipi di risorsa che ho visto citati in giro per i forum e nelle community legate al test, prima di scegliersi le proprie, però, consiglierei di testare il proprio potenziale nel test, ne parlo ora nell’ultima sezione relativa al test: come prepararlo, in pratica.
Come studiare
Come già detto, l’approccio migliore è soggettivo, ma i primissimi steps sono a mio parere abbastanza standard, il mio consiglio per iniziarea prepararsi è questo:
- Studiare la struttura del test (praticamente quello che si trova in questo articolo)
- Fare il test diagnostico sulla piattaforma Wiley, per riconoscere fin da subito le proprie aree deboli
- Familiarizzare con i quesiti di tutte le sezioni, e in particolare col linguaggio utilizzato e col cronometro, tramite l’utilizzo del question builder su Wiley.
Dopo aver fatto questo, ed essere arrivati ad un livello dove si riesce a rispondere a tutte le domande (in maniera giusta o sbagliata, poco importa) prima dello scadere del tempo, è il momento di fare il primo mock, ma NON uno di quelli ufficiali di MBA.com, bensì un mock non ufficiale, che si trova sul sito di Manhattan prep (www.kaptest.com), questo mock va fatto in maniera più veritiera possibile: senza calcolatrice, seguendo i tempi e le pause del test vero, e tutto nella stessa sessione. L’algoritmo del mock non ufficiale è ovviamente diverso da quello del GMAT vero, ma è molto vicino, il punteggio che verrà dato dovrebbe essere circa trenta punti inferiore a quello che si potrebbe prendere in un mock ufficiale, perché la sezione verbal è più difficile. Quest’ultima cosa l’avevo letta prima di farlo io stesso, e sono rimasto di sasso quando si è rivelata perfettamente vera: al mock non ufficiale ho preso 570, in quello ufficiale, fatto pochi giorni dopo, ho ricevuto un 600.
Il mock di Manhattan prep dovrà essere un monito, perché sarà difficile alzare il punteggio ricevuto lì, e questo lo metto bene in chiaro. Alzare il punteggio del GMAT diventa esponenzialmente più difficile man mano che ci si alza coi punti. Io, in due mesi di studio intensivo, l’ho alzato solo di 30 punti (il mio risultato il giorno del vero test è stato di 630). Quindi si prenda questo primo risultato come una botta di realtà: se si punta ad andare all’HEC Paris o alla London School of Economics, e il primo risultato è 500, o si rivedano i propri piani, o ci si prepari a studiare veramente intensamente, anche con l’utilizzo di risorse costose, o ancora ci si prepari all’idea di prendersi un anno in cui studiare per il test. Alcuni studenti con cui ho discusso online sono stati anche più anni a preparare il test, perché avevano intenzione di andare ad Harvard, Stanford, o Oxbridge, e nulla di meno. Sono scelte di vita da fare con coscienza.
Dopo questo primo test, inizia la preparazione vera. Il confronto tra risultato target e il primo risultato ottenuto dovrà far riflettere su come procedere in termini di investimento di tempo e denaro. Ma ci sono un paio di consigli che darei a chiunque, a prescindere dal livello:
- Tenere un error log: questo vuol dire avere un foglio excel (o cartaceo), in cui segnare tutti i propri errori, segnando il quesito, il tipo di errore, il perché si sia commesso tale errore, e il modo per evitare di commetterlo di nuovo. Questo permetterà di studiare efficacemente, invece di risolvere domande su domande per poi guardare solo la soluzione corretta e dire “ah che scemo”, per poi rifare lo stesso errore subito dopo.
- Prendere appunti sulle cose basilari di matematica: non prendiamoci in giro, nessuno si ricorda davvero come si facciano le divisioni con carta e penna, soprattutto quando ci sono decimali di mezzo. Ecco, consiglio di fare molta pratica con le operazioni di base, perché spesso e volentieri capiterà di aver capito come risolvere un quesito di PS, ma non riuscire a trovare il risultato perché non si sa fare una moltiplicazione con numeri decimali, è un peccato.
- Usare flash cards per ricordarsi le formule: non servono tante formule per il GMAT, ma è un peccato dover tirare a caso in una domanda di geometria facile perché non ci si ricorda la formula del volume di una sfera o quella per il calcolo dell’interesse composto.
- Sviluppare (o cercare su internet) delle strategia di risposta che velocizzino il processo: questo vuol dire per esempio capire come escludere velocemente le opzioni di risposta nelle domande di DS.
- Rendersi conto che, a meno che non si punti a 700+, non serve rispondere correttamente alle risposte difficili, ma quello che serve è non sbagliare mai quelle facili. Già avere un tasso di risposta del 90%+ nelle domande facili porterà vicino al 600, che realisticamente è il target di una grossa parte dei test takers.
Chiusura e consigli vari
Una volta che si sono raccolti i documenti e si sono fatti i test, rimane solo da aspettare l’apertura delle admissions, seguire le loro procedure, e pregare (a seconda dei casi). Qua può nascere un piccolo problema: solente le risposte alle candidature arrivano in momenti molto diversi, e quindi di conseguenza ci si potrebbe trovare in una situazione in cui si è ricevuta un’offerta da un’università, ma la si deve ancora ricevere da altre università che magari sono più in su nella nostra lista di preferenze, specie se ci si è candidati ad università in paesi diversi. Purtroppo a questo non si può ovviare facilmente. Consiglio caldamente di farsi un piano strutturato di previsione delle risposte, perchè spesso le università si aspettano una conferma all’offerta nel giro di pochi giorni.
Io a questo ho parzialmente ovviato perchè mi sono candidato con largo anticipo ad una business school (mia prima preferenza) che ha il sistema delle rolling applications, che consiste nel non avere una deadline precisa dopo la quale vengono mandate tutte le risposte, ma rispondere alle domande man mano che arrivano, fino ad esaurimento dei posti. Questo mi ha permesso di ricevere la risposta della mia prima preferenza prima che mi rispondessero le altre che non avevano lo stesso sistema. Consiglio quindi, nel caso nel proprio portafoglio di scelte ci fossero università con questo sistema, di calibrare bene il momento in cui mandare ad esse la candidature, così che se queste fossero tra le prime preferenze, siano le prime risposte ad arrivare, e se invece siano “il piano B” (o C), siano le ultime.
Consiglio inoltre di far uso di eventuali early bird deadlines, così da potersi organizzare bene per l’alloggio e altre cose.
Ora, di una cosa non ho parlato durante tutto l’articolo: i costi. Chiaramente vivere all’estero tende a costare molto, sopratutto se si punta al nord europa, ma ci sono un paio di paesi dove il rapporto qualità prezzo delle università potrebbe rendere più vantaggioso l’investimento:
Paesi Bassi: studiare nei paesi bassi permette di ambire ad alcune delle business schools più presigiose del continente, e del mondo (Rotterdam school of management, UvA Business school, Erasmus school of Economics…) pagando bene o male quello che si paga in italia (intorno ai 2000 euro all’anno)
Svezia: La svezia, come tutti i paesi scandinavi nell’UE, a quanto ne so, non ha tuition fees per gli studenti EU/EEA. Questo vuol dire che si può studiare in università top al mondo, anche private (prima tra tutte la Stockholm School of Economics, già citata diverse volte in questo articolo) fondamentalmente gratis.
Danimarca: Oltre ad avere la stessa caratteristica di gratuità della Svezia, aggiunge anche la possibilità di ottenere un grant di circa 800 euro al mese (l’SU), anche se agli studenti internazionali questo viene erogato solo se essi trovano un lavoro part time (circa 20 ore al mese).
Un’ultima cosa che vorrei trattare sono i “rankings” delle università. Nei primi momenti, quando stavo carezzando l’idea di andare a studiare all’estero, le ho praticamente imparate a memoria. Questi rankings (Qs rankings, Shangai Ranking, e Financial Times Higher Education) sono sicuramente divertenti da consultare, ma col senno di poi non credo bisognerebbe scegliere le proprie università target solo in base a quello, sicuramente non ordinare le proprie preferenze in base al loro posto in classifica.
Consiglio invece di consultarle per farsi un’idea di quali università possano essere interessanti da tenere d’occhio, per poi ordinare il proprio portafoglio scelte in base a criteri personali: materie insegnate nel programma, opportunità di internship, employability, nazione in cui si trovano e prospettive di rimanerci, eccetera.