Il zero lower bound principle è uno dei quei caposaldi onnipresenti in tutta la teoria classica e neoclassica in ambito macroeconomico. Molto semplicemente, tutti avevano teorizzato l’impossibilità di poter ottenere tassi di interesse negativi. Ma come sempre, la politica economica è pronta a sorprendere e, a seguito di una delle più pesanti crisi economiche della storia all’uomo conosciuta, le banche centrali si trovano costrette a ricorrere ad una nuova tipologia di strumenti di politica monetaria, di carattere non convenzionale. Il famoso QE, di cui la FED (la Banca Centrale degli USA) si è fatta promotrice e prima utilizzatrice, passato poi tra le manovre più importanti della BCE, ha permesso tagli di interi punti percentuali del tasso di interesse, al fine di stimolare l’economia e favorire l’investimento, motore di crescita e sviluppo nel breve e nel lungo periodo. Una situazione che, sebbene nel nostro Paese non abbia avuto i risultati sperati in aumento del credito alle imprese, facendo registrare un calo di qualche punto percentuale nel rapporto banche CER degli ultimi mesi, ha invece fatto registrare una crescita del debito contratto nell’eurozona. Con una situazione decisamente più complicata sul fronte del debito pubblico. Con un rapporto debito/PIL attorno al 130%, date le dimensioni della nostra economia, si rende bene l’idea di come una minima variazione al rialzo del tasso di interesse (in particolare relativamente alla diminuzione del programma QE inaugurato dall’era Draghi alla guida della BCE) potrebbe prospettarsi un colpo durissimo. L’attuale situazione, da molti definibile eccessivamente artificiale e slegata dalle logiche di mercato, permette tuttavia al nostro Paese di re-finanziare l’ingente debito pubblico ad un costo accessibile, conscio di avere nella BCE un acquirente importante sulla quale poter contare. E viste le premesse, in pochi sembrano contare in un riposizionamento dopo il cambio al vertice della BCE verso un taglio drastico della politica espansiva attuata fino ad ora. Ma per quanto necessario tale manovra sia per la sostenibilità della stessa eurozona, la BCE si trova in una situazione davvero pericolosa. Con una politica monetaria espansiva particolarmente spinta, trovarsi in una situazione di potenziale crisi all’interno dell’area euro potrebbe portare ad uno stallo molto pericoloso. Con la Germania, traino economico dell’eurozona, verso una prospettata recessione tecnica dato da un costante calo della produzione industriale negli ultimi trimestri, la possibilità non sembra nemmeno così remota. E dati i tassi di interessi già allo 0% se non negativi, un taglio dei tassi si preannuncia chiaramente impossibile. Al momento il costo di questi tassi negativi pesa quasi esclusivamente sulle banche commerciali e la loro redditività. A seguito delle riserve obbligatorie da tenere presso la banca centrale da parte degli istituti privati, sottoforma di deposito effettuato presso la banca centrale, le banche commerciali vedono i propri depositi andare a ridursi giorno dopo giorno. Non solo un investimento improduttivo (tale denaro non genera interesse), ma addirittura a perdere per tutti quegli operatori. Una pressione tale da indurre la stessa BCE a ridurre l’ammontare minimo richiesto come deposito presso i propri conti dal 2% all’1% dell’ammontare complessivo dei depositi dei correntisti (e altre aree del passivo bancario) in modo da evitare il declino negli indici di profitto degli istituti in area euro. Fino a giungere alle recenti proposte (in alcuni Paesi già realtà) di riportare tassi di interesse ai nei conti depositi dei correntisti (come proposto dal CEO di Unicredit). Proposta per molti difficile da attuare, vista la soglia psicologica dei correntisti verso un tasso di interesse con segno negativo. Alcune proposte più estreme vengono da una potenziale apertura della banca centrale ai privati, che permetterebbe una politica monetaria decisamente più efficace attraverso un controllo diretto della moneta e non indiretto come oggi tramite il controllo delle banche commerciali.

E in tutto questo scenario nei mercati finanziari si sta assistendo ad una vera e propria ricerca di ritorni. Tra i best buy del momento abbiamo prodotti basati su leveraged loans, frutto di una azione di rebranding in grande stile. Trattasi in grossa parte prestiti concessi a soggetti con una storia creditizia problematica o già particolarmente indebitati o, come molti li conoscono, mutui subprime. Una quantità addirittura superiore a quella precrisi del 2008, e, secondo dati S&P Global, in crescita sul mercato americano ed europeo. Una posizione di estremo pericolo nel caso di un movimento dei tassi al rialzo, con il rischio di un aumento esponenziale dei default sul debito contratto. Con la Germania ed altri Paesi invocanti uno stop alla politica eccessivamente interventista finora portata avanti dalla BCE preoccupati da un potenziale rischio inflazione, e una generale sensazione di impotenza da parte delle autorità centrali, la situazione presenta numerosi rischi da tenere sotto controllo da tutti, dagli operatori di mercato ai comuni risparmiatori.