FRIDAYS FOR FUTURE: dalle parole ai fatti

Dalla newsfeed di facebook al post su instagram, dal quotidiano alla TV, dai convegni alle chiacchiere da bar, ormai ovunque si sente parlare di Fridays for future e della sua paladina Greta Thunberg. Amata e criticata, sicuramente non le si può negare il merito di aver sollecitato i vari capi di Stato a considerare la questione ambientale con un livello d’urgenza tale da porla ai primi posti nelle loro “to-do list”. 

Fridays for future nasce principalmente per coinvolgere i ragazzi di varie fasce d’età a scioperare per l’ambiente, perché l’istituzione scolastica non ha futuro se non si pensa al domani. È un movimento che sta coinvolgendo molte città in tutti il mondo e non ha leader riconosciuti, bensì punta sulla forza dell’unione in un unico pensiero: cambiare le nostre abitudini per proteggere l’ambiente e sollecitare il mondo pubblico e privato ad agire. Il “meccanismo” di produzione e consumo che nel corso degli anni noi esseri umani abbiamo messo in atto sta deteriorando il nostro Pianeta e le sue risorse. L’obiettivo è diffondere consapevolezza nei singoli, ma soprattutto stimolare i governi ad implementare nuove riforme e misure atte a ridurre l’impatto ambientale nel lungo termine.

Cosa chiedono gli studenti in concreto a Governi ed aziende? In parole povere, ricercare mezzi e strumenti per incentivare tutte le attività a ridurre il proprio impatto ambientale (cosiddetto carbon footprint) riducendo le proprie emissioni e incorporando nel proprio modello di business l’ulteriore step di riutilizzo dei prodotti di scarto, introducendo così il concetto di economia circolare.

Dal punto di vista teorico il ragionamento risulta lineare, pulito e socialmente corretto, ma nella pratica, la sostenibilità è davvero economicamente sostenibile?

Negli ultimi anni la risposta potrebbe sembrare affermativa: il mercato del lavoro connesso alle energie rinnovabili come il solare sembrerebbe essere in grado di generare numerosi posti di lavoro nonché profitti diretti o indiretti grazie al sostanziale abbattimento dei costi di implementazione di queste tecnologie. Per dare qualche numero, nel 2018 i lavori connessi all’energia pulita sono aumentati del 3.6% e ci si aspetta una crescita del 6% nel 2019. Ovviamente ci sono numerose ricadute sul settore energetico basato sul carbone e sul petrolio che ha visto una pesante riduzione della produzione e dei posti di lavoro dal 2011.

Molti entusiasti della green economy sostengono come basti semplicemente aumentare la copertura di pannelli solari e pale eoliche per risolvere molti (se non tutti) problemi legati al clima. Così facendo però andiamo ad ignorare uno dei fattori che potenzialmente potrebbero rendere le energie rinnovabili economicamente sostenibili nel lungo termine. Questo richiedere una quantità enorme di ricerca, che come si può immaginare, non è propriamente poco costosa. Normalmente lo stato si trova in prima linea quando si tratta di fare questo tipo di ricerche, ma dopo la crisi del 2007 siamo costretti a fare i conti anche un altro problema.

Come in ogni famiglia, la macchina Stato funziona se c’è un equilibrio tra ciò che si guadagna e ciò che si spende, ma non è sufficiente. In primis ci deve essere la crescita, che si misura sulla base di ciò che un’economia produce ossia l’output reale e si verifica quando quest’ultimo aumenta nel corso del tempo. Essa si definisce economicamente sostenibile quando non arreca danni significativi al sistema economico del paese specialmente per le generazioni future e quindi nel lungo termine. Pensando al nostro paese, oberato da un debito pubblico insostenibile accumulato negli anni e destinato a crescere, sorge spontanea la domanda: “Come può un’economia continuare a crescere per sempre”? Alla base deve esserci un meccanismo che si evolve e si innova sempre in prospettiva futura, perciò per una crescita costante è necessario un aumento della capacità di crescita di un’economia.

Nonostante i dati incoraggianti, il cambio di rotta verso un’economia “amica dell’ambiente” garantirebbe comunque la crescita economica? 

Recentemente l’UE ha emanato una direttiva che bandisce la plastica monouso dal 2021 in Europa. Questo sicuramente non è una buona notizia per le aziende e gli operai del settore. Inoltre, il rapporto Eurostat segnala che sono aumentate del 2,2 % sul territorio europeo le cosiddette tasse ambientali, che molti definiscono una truffa ai danni delle imprese. Si tratta di uno strumento indiretto tramite il quale lo Stato dimostra di implementare le politiche ambientali, imponendo alle aziende e singoli di pagare una certa somma di denaro in base all’utilizzo di risorse o alla conduzione di un’attività che inquinano. Stiamo quindi sottoponendo le piccole medie imprese ad un sistema fiscale sempre più invadente e gravoso, aumentando le possibilità di fallimento, tutto in nome della protezione ambientale. Come si contempla la crescita in un sistema che aggrava e non agevola le aziende a produrre? 

“Per la protezione del pianeta” è una causa che vale la pena sposare se, e sottolineo se, tutti la condividessero. Prendiamo ad esempio economie come la Cina: ad utilizza gas banditi ormai da tutto il mondo perché altamente inquinanti, ignorando completamente i trattati internazionali; il governo ha recentemente attuato un piano di costruzione di centinaia di centrali a carbone; infine insieme all’India è responsabile del 90% della plastica sui mari. I trattati internazionali come quello di Parigi sono accordi presi sulla base del buon senso e delle promesse, ma non se ne può imporre l’applicazione. Così le PMI europee sono costrette a pagare di più per ridurre l’impatto sull’ambiente, mentre le grandi multinazionali continuano a delocalizzare la loro produzione nei paesi in via di sviluppo dove il costo della manodopera è più basso e la riduzione delle emissioni non è sicuramente una priorità. L’impegno non è condiviso da tutti e i piani d’azione non convergono tutti verso un unico obiettivo. Qualcosa non torna e sicuramente se lo sviluppo sostenibile porta ad un aumento delle tasse e disoccupazione allora non è economicamente sostenibile.

Scioperare per l’ambiente è un atto virtuoso e diffondere consapevolezza sul tema lo è ancora di più. Duole dire, però, che questo messaggio va rivolto in modo prepotente a quei Paesi che, nonostante le promesse, continuano ad ignorare il problema e a fare dell’utilizzo massivo delle limitate risorse naturali la fonte della propria crescita economica.

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