
Coinbase Global Inc., una tra le più importanti piattaforme al mondo per il trading di criptovalute, ha esordito in borsa mercoledì scorso quotandosi al Nasdaq, tramite un’operazione di direct listing (alternativa al processo di IPO). Gli investitori hanno valutato Coinbase intorno agli 86 miliardi di dollari alla fine del primo giorno di contrattazione (valutazione su base ‘fully diluted shares’, ovvero comprensiva di stock options, convertible bonds e altri tipi di rewards sulle azioni). Il valore del titolo è oscillato fortemente nell’arco della giornata: dai 381$ in apertura, ad un assestamento finale intorno a 328$, comunque superiore del prezzo target di 250$ fissato il giorno precedente. La capitalizzazione di mercato alla campanella di chiusura si è aggirata sui 65.4 miliardi di dollari, valore che inserisce l’azienda tra le prime 150 ‘public company’ (quotate) degli Stati Uniti. Gli asset digitali sono sempre stati molto discussi e in un certo senso divisivi nel mondo della finanza. Per questo bisogna soffermarsi sul significato della quotazione, che per molti ha rappresentato una sorta di validazione istituzionale di Bitcoin e simili.

Coinbase nasce come start-up nel 2012 dall’idea di Brian Armstrong, ex ingegnere di AirBnb certificatosi multi-miliardario mercoledì (la sua frazione azionaria da sola vale 13 miliardi di dollari). La sua azienda si è formata nove anni fa sulla base di un’intuizione imprenditoriale visionaria ma semplice: creare una piattaforma di ‘exchange’ in cui gli investitori possano vendere e comprare cripto-valute. L’impresa suscitò fin da subito un discreto interesse in chi aveva intravisto possibilità di crescita nel mercato delle valute digitali. Diversi fondi di venture capital (tra i quali il fondo di Marc Andreessen- vecchia volpe-) finanziarono il progetto in prima battuta e da questi, già a fine 2013, Coinbase aveva raccolto più di 25 milioni di dollari. Negli anni successivi, l’andamento delle criptovalute (e Bitcoin in particolare) ha vissuto di singhiozzi e fiammate, attestandosi su un basso livello di credibilità presso gli apparati finanziari più istituzionali. Poi è arrivata la pandemia ed effettivamente qualcosa pare essere cambiato.
Nell’ultimo anno Bitcoin, per una serie di ragioni che non analizzeremo in questa sede, è stato oggetto di un trend rialzista. Rispetto a dodici mesi fa vale otto volte tanto (intorno ai 55mila dollari). Ovviamente le fortune dell’azienda sono inevitabilmente legate all’andamento delle valute digitali scambiate e dal loro volume di scambio. Non è difficile immaginare allora l’incremento mostruoso dei ricavi per la piattaforma nell’ultimo anno: 1,8 miliardi di fatturato solo nei primi tre mesi del 2021 (1.1 miliardi di EBITDA), nove volte di più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo stime recenti Coinbase copre l’11% dell’intero mercato delle criptovalute, per un totale di 90 miliardi di asset alla fine dell’anno scorso e 56 milioni di utenti attivi ad oggi. L’azienda è riuscita di fatto a costruire una posizione dominante nel già ristretto oligopolio di ‘exchanges’ che gestiscono il settore. Come? Una discreta affidabilità, buoni rapporti con gli enti regolatori e ovviamente l’ampia offerta di valute digitali scambiabili. Coinbase non ha fatto altro che sfruttare la spinta frenetica degli ultimi mesi, decidendo così di quotarsi.

Volendo rovinare un po’ la festa bisognerebbe ricordare alcuni fattori. Un primo elemento di dubbio è rappresentato dal modello di business della piattaforma. Sebbene infatti l’azienda offra alcuni servizi accessori, tra cui per esempio la custodia delle monete digitali per grossi clienti, il 96% dei ricavi netti a bilancio provengono dalle quote di transazione percentuali (intorno ai 50 punti base) applicate ad ogni singola operazione di compravendita. Di questi introiti, il 44% proviene dal trading di Bitcoin (ed altra buona parte da Ethereum, seconda moneta più scambiata). Insomma, se il mercato cresce notevolmente, come negli ultimi mesi, Coinbase vola. Ma se il mercato dovesse calare? L’obiettivo dichiarato del CEO Armstrong, come è normale che sia, è di rendere la redditività della piattaforma sostenibile sul lungo periodo. Per riuscire nell’obiettivo la prima mossa dovrà essere quella di diversificare il business ed emanciparlo dalla sua dipendenza concentrata solo su alcune monete (fattore particolarmente rischioso se pensiamo alla volatilità del settore). Un altro elemento di rischio è l’inasprirsi della concorrenza. Abbiamo detto di come Coinbase benefici di un ottimo posizionamento di mercato (per altro sempre più difficile da raggiungere per i concorrenti più piccoli all’aumentare delle diverse criptovalute offerte). Ma pare che altre piattaforme di trading, visto il successo degli ultimi mesi, stiano aprendosi alle valute digitali. Tra tutte è emersa Robinhood, anch’essa molto diffusa tra gli investitori retail e chiacchierata recentemente per il caso GameStop, la quale ha dichiarato che presto comincerà ad ampliare la propria offerta di ‘cryptocurrency wallet’. Una mossa che dovrebbe ridurre il divario con Coinbase.

In fine una riflessione sull’annosa ambizione di voler soppiantare il meccanismo finanziario corrente. I più fermi sostenitori di Bitcoin e simili continuano a propagandare le valute digitali come una tecnologia in procinto di cambiare il mondo e la quotazione di Coinbase è stata l’ennesima occasione per gridare vittoria. A calmare gli animi ci ha pensato Jerome Powell, governatore della Federal Reserve. Il suo commento è stato esattamente quello che ci si aspetterebbe da un banchiere centrale. Ha definito le criptovalute un ‘veicolo per la speculazione’ e le ha assimilate, con un parallelismo comune, all’oro. La comunanza tra un Bitcoin ed un lingotto starebbe nel fatto che entrambi non hanno nessuna valenza intrinseca (poiché inutili in qualsiasi processo industriale), ma ai quali gli umani attribuiscono comunque un valore (in quanto risorse scarse). Anche se per diventare come l’oro, le valute digitali dovrebbero prima di tutto stabilizzare il loro valore nel tempo. Lo sbarco in borsa di Coinbase certifica sicuramente un’apertura istituzionale di Wall Street alle criptovalute, considerate sempre di più come una nuova ‘asset class’ di investimento. Ma dato che i rischi sottostanti continuano ad essere sempre i soliti (volatilità, speculazione e contorni opachi del mercato), questa maggiore inclusione delle valute digitali nei comparti più tradizionali, dovrà essere progressivamente accompagnata da una maggiore regolamentazione.
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