Criptovalute e Blockchain: cosa sono e perché sono interessanti

Le criptovalute, nell’ultimo periodo, hanno generato una grande eco e attirato molta attenzione – da parte di addetti al settore finanziario ma non solo – grazie al particolare andamento sui mercati. Tuttavia, in molti ancora non sanno cosa sono. Le cryptocurrencies, come sono chiamate nei paesi anglofoni, sono valute digitali o virtuali che basano la loro implementazione e la convalida delle transazioni sui principi della crittografia. Queste valute sono per natura anonime e decentralizzate, per cui, non essendo rilasciate da enti governativi di nessun tipo, sono teoricamente immuni a qualsiasi manovra.

Le valute

Al luglio 2017, esistono circa 1.000 valute digitali differenti. Le più note sono il Bitcoin, l’Ethereum e il Litecoin. Il funzionamento di queste è strettamente legato alla crittografia e alla tecnologia della blockchain, che potrebbe rivoluzionare moltissimi settori disintermediandoli.

Ma come funziona concretamente? Perché vengono eliminati i “classici” rischi che si possono avere su internet, come ad esempio attacchi hacker e perdita di dati? Come viene assicurata la certezza della proprietà e come si evita il fenomeno del double-spending? Tutto questo e molto altro è garantito dalla blockchain, il cui meccanismo, ideato all’inizio per il Bitcoin, è replicato in modo simile da tutte le altre valute digitali.

Il funzionamento della blockchain

La blockchain, in poche parole, non è altro che un libro mastro dove sono iscritte tutte le transazioni che avvengono tramite BitcoinL’integrità, la correttezza e l’ordine cronologico delle transazioni sono confermate e protette da un sistema che si basa sulla crittografia.

Per prima cosa, bisogna sottolineare che la blockchain è un database distribuito, e che quindi non è localizzato localmente su un solo server, ma su più macchine contemporaneamente: potenzialmente tutti i computer collegati alla rete. Questa caratteristica è fondamentale per la sicurezza, in quanto sarebbe necessario attaccare tutti i computer contemporaneamente per hackerare la base di dati e modificarle. La forza di questo sistema sta proprio nel fatto che ci siano molteplici “ragionieri” che tengono una copia di questo registro e che vengono aggiornati grazie a un particolare software.

Il (presunto) nome dell’ideatore di questo sistema è Satoshi Nakamoto, che nel 2008 ha pubblicato il paper Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System e nel 2009 ha lanciato il primo software che ha inaugurato la valuta digitale.

Fondamentale per la sicurezza del sistema è il timestamp, ovvero la marca temporale, che impedisce l’annullamento o la modifica dell’operazione dopo la registrazione. Inoltre, va ribadito il fatto che il funzionamento non è garantito da un ente centrale, ma ogni operazione è validata dall’interazione di tutti i nodi. Dopo aver affrontato la tecnologia che si cela dietro le cryptocurrencies, si possono analizzare i diversi tipi di moneta digitale. Per cominciare, è necessario affrontare il Bitcoin, ovvero la prima valuta nata insieme a questa tecnologia, a cui è legato a doppio filo per diversi motivi.

Il Bitcoin

Il Bitcoin è una vera è propria valuta quotata, e come tale può essere utilizzata per effettuare pagamenti di qualsiasi tipo in qualsiasi momento, con costi contenuti e tutta la sicurezza della tecnologia sottostante. Per poter utilizzare questo particolare tipo di moneta è necessario aprire un portafoglio, che consiste semplicemente in un’applicazione o un programma da installare sul proprio dispositivo; conseguentemente all’installazione, viene generata una chiave formata da una parte privata, accessibile esclusivamente dal proprietario del portafoglio, e una parte pubblica: queste sono necessarie per condurre le transazioni e per certificarne l’autenticità.

Molto interessante è come viene determinato il valore del Bitcoin: questo, essendo indipendente da qualsiasi tipo di organizzazione o governo, non è come una valuta a corso legale e non ha un valore modificabile da nessuno, in quanto anche la sua quantità è fissata a priori e tende asintoticamente a 21 milioni. Il prezzo viene di conseguenza determinato semplicemente dalle leggi di mercato della domanda e dell’offerta. Per quanto riguarda la quantità prodotta, la disponibilità di nuove monete cresce come una serie geometrica ogni 4 anni: nel 2013 è stata generata la metà delle monete e nel 2017 si raggiungeranno i tre quarti.

Al 25 luglio 2017, la capitalizzazione di mercato del Bitcoin è di €36.651.396.293 ($42.647.165.334), sono presenti 16.468.975 monete con un prezzo di €2.225,48 ($2.589,54). L’andamento storico del prezzo in USD si può vedere nel grafico seguente:

Andamento del prezzo del Bitcoin. Fonte.

Evidente è il fatto che esso abbia un prezzo estremamente volatile, e che tenda ad avere importanti picchi di valore. I motivi della volatilità sono diversi: in primis, molto rilevante è il valore percepito del Bitcoin, che è molto più simile a una commodity come l’oro che a una valuta a corso legale, e cioè la sua riserva di valore contro le monete legali. A questo si aggiunge il valore intrinseco percepito, che può variare molto rapidamente. Inoltre, non va tralasciato il comportamento dei grandi possessori di Bitcoin, che possono influenzare in larga parte il mercato, in quanto questo non ha ancora raggiunto la massa degli investitori mentre gli early adopters si trovano con ingenti quantità di monete. Vanno citate infine sia le notizie geopolitiche (che magari possono riguardare una regolamentazione della stessa moneta), sia quelle che derivano dalla stessa “community”, per esempio riguardo la sicurezza del sistema o eventuali falle. In ogni caso è utile ricordare che il prezzo dipende esclusivamente da domanda e offerta, e che queste vengono pesantemente influenzate dalle ragioni succitate.

Dopo aver analizzato la questione del valore del Bitcoin è possibile affrontare il problema di come vengono generate le monete, e per fare questo è necessario tenere ben presente il funzionamento della blockchain. Come già affermato, la blockchain è un database protetto da crittografia diffuso tra tantissimi computer diversi che tengono nota di ogni transazione. A questo punto potrebbe sorgere spontanea una domanda: per quale motivo queste persone mettono a disposizione della potenza di calcolo per tenere un registro? Ci guadagnano qualcosa o lo fanno solo per amore verso il prossimo?

Siccome i computer coinvolti sono veramente tanti e i costi sostenuti sono notevoli, i soggetti che lo fanno per passione sono veramente pochi, se non nessuno: chi mette a disposizione la propria macchina guadagna dei Bitcoin per ogni blocco che aggiunge alla catena risolvendo dei particolari algoritmi in tempi relativamente brevi. Questi soggetti prendono il nome di miners, in una sorta di similitudine coi minatori d’oro. Inoltre, oltre a guadagnare dai Bitcoin generati dallo stesso sistema, i minatori guadagnano anche dai costi di transazione (ovvero delle fees) che i soggetti versano volontariamente per velocizzare l’operazione, incentivando ulteriormente i prestatori del servizio.

Le altre criptovalute

Come già affermato, le criptovalute sono attualmente circa 1.000, e sono destinate ad aumentare. Oltre al Bitcoin, che ha la capitalizzazione di mercato e il prezzo più alto, esistono diverse monete interessanti che hanno introdotto innovazioni e novità notevoli. Tra le altcoins, ovvero le criptovalute diverse dal Bitcoin, è presente ad esempio il Litecoin, lanciato nell’ottobre 2011, che ha una struttura molto simile al Bitcoin, differendo solo per il fatto che vengono immagazzinate meno informazioni, il che rende le transazioni più leggere e veloci, permettendo di stipare più informazioni all’interno di ogni blocco. Ad oggi, il Litecoin ha una capitalizzazione di mercato di $2,189,035,163, sono presenti 52,186,982 monete sul mercato ad un prezzo di $41.95.

Tra le valute digitali più interessanti spicca anche l’Ether, moneta di scambio usata su Ethereum, una piattaforma digitale considerata di una nuova generazione di blockchain, ovvero la 2.0. La suddetta piattaforma permette l’esecuzione di smart contracts, veri e propri contratti digitali eseguibili senza intervento esterno, dove la moneta funge sia da criptovaluta che da “carburante” per l’utilizzo della potenza computazionale.

Ad Ethereum si affianca NEO, una piattaforma supportata pesantemente da Alibaba, il colosso dell’e-commerce cinese. La differenza tra le due piattaforme sta nel fatto che Ethereum possiede un linguaggio di programmazione proprio, mentre NEO cerca di usare più linguaggi ed essere quindi più flessibile.

Grafico del prezzo dell’Ether.

 

Implicazioni future

Le criptovalute sono e saranno un passaggio estremamente rilevante per il futuro, non solo per la loro natura di monete digitali decentralizzate, ma piuttosto per la tecnologia sottostante: la blockchain, per molti, potrebbe distruggere l’economia per come la conosciamo oggi. Nel futuro, settori con un’importante presenza di intermediari come quello finanziario potrebbero sparire grazie a questo sistema. Secondo Dan Trapscott, manager ed economista canadese, la blockchain potrebbe davvero democratizzare e rendere reale la sharing economy, abbattendo i costi di transazione e rendendo accessibile a una maggiore fetta della popolazione il benessere economico grazie alla sicurezza e alla portata del sistema.

Non solo fiori

L’altra faccia della medaglia è che le criptovalute stanno vivendo una bolla che presto potrebbe scoppiare, danneggiando molte persone e facendo crollare i prezzi. Il motivo sta nel fatto che molti si sono letteralmente tuffati nel mercato senza conoscerne le dinamiche, i problemi e le opportunità, rimanendo in balia delle fluttuazioni. A questo va affiancata la problematica che riguarda il riciclaggio del denaro che viene facilitato dalle monete digitali.

Le criptovalute saranno di particolare rilievo in futuro, ma non è detto che rimarranno inalterate e che saranno sempre le stesse, anche per via dei regolamenti che potrebbero arrivare da parte dei governi. Sarebbe quindi più interessante capire e sviluppare la tecnologia sottostante, che secondo molti potrebbe davvero rappresentare una nuova pagina sia di internet che dell’economia mondiale.

 

Articolo pubblicato anche su theWise (https://www.thewisemagazine.it/2017/08/05/2931/).

 

Domenico Sorice

Social Media Responsible Invenicement

La fine delle Venete

La telenovela che riguarda il futuro delle banche venete sembra ormai giunta al termine, portando un po’ di ordine all’interno del panorama italiano. Come visto negli articoli precedenti riguardo il sistema italiano, i casi di buona gestione ci sono, ma vengono minati da dissesti e casi di malagestione che infettano l’intero comparto bancario, generando insicurezza e instillando la paura nei clienti-consumatori, aizzando gli speculatori.

In sintesi, andranno in liquidazione e Intesa Sanpaolo ingloberà la parte “buona” e lascerà i crediti deteriorati in una cosiddetta “bad bank” finanziata dallo Stato, quindi coi soldi dei contribuenti, con una spesa di circa 20 miliardi di euro. Era questa, quindi, l’unica fine possibile? Che fine hanno fatto le ipotesi di bail-in, le belle parole sul fatto che i contribuenti non devono pagare per pochi? Non si poteva agire minimizzando la spesa pubblica? E in questo, gli austeri tecnocrati europei che cosa hanno fatto?

Le questioni suscitate da questa situazione sono molteplici e riguardano temi rilevanti, ma tra tutti i più delicati toccano la credibilità italiana e quella delle istituzioni europee, per via dei fondi stanziati a favore di Intesa e per la competizione che potrebbe subire qualche variazione in favore del più grande gruppo bancario italiano.

La questione brevemente riassunta nelle righe precedenti è più complessa e strutturata. Per prima cosa, cosa succede alle venete: Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, fondamenti dell’economia del nord-est e della locomotiva veneta ora passano di mano, dopo una centenaria storia di indipendenza.

Le cause di questa crisi, già analizzate in precedenza, riguardano i favoritismi e il clientelismo, che hanno fatto accumulare miliardi di crediti deteriorati senza mai essere svalutati, tenendo alti i prezzi delle azioni, che venivano decisi internamente, senza seguire le logiche di mercato. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato dai controlli di Banca d’Italia e BCE all’interno delle venete, che hanno scoperto i trucchi utilizzati per gonfiare i conti.

Le banche subiranno ora la liquidazione coatta amministrativa, una particolare procedura che in assenza della normativa europea applica quella italiana, derogandola, in favore dell’operazione da effettuare: con questa mossa le banche passano da recuperabili, fino a poco tempo fa, a situazione di fallimento. In questo si inserisce Intesa, unica banca disposta a farsi carico della situazione, che acquista Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza per un euro, prezzo simbolico; a questo Intesa affianca una garanzia da parte dello stato di quasi 5 miliardi, a favore dei propri azionisti, ribadendo però “che le passività superano le attività”, a sottolineare la propria buona azione. Il denaro messo a disposizione da parte dei contribuenti a favore della più grande banca italiana servirà a non intaccare i ratio patrimoniali decisi dagli accordi di Basilea, in modo da lasciare inalterata la situazione dopo l’incorporazione delle venete. Lo Stato deve, con i fondi messi a disposizione, garantire gli NPL, ovvero i crediti deteriorati, delle due venete, già svalutati, e quindi senza troppa fretta di liberarsene. Gli analisti di Mediobanca, in favore della mossa di Intesa, prevedono un aumento del dividendo di circa il 6%; anche la borsa ha premiato le operazioni di Intesa.

Per quanto riguarda i fondi pubblici stanziati, il ministro dell’economia Padoan ha affermato che questi non avranno impatto sul debito pubblico: questa affermazione è vera, ma semplicemente perché erano già stati previsti come ricapitalizzazione precauzionale a favore delle venete, e sono quindi sono stati reindirizzati. Lo Stato potrebbe comunque recuperare questo denaro attraverso una oculata e attenta gestione e vendita dei crediti deteriorati che formano la bad bank, ora di proprietà pubblica.

Agli azionisti ormai da tempo rassegnati ad avere poco o nulla di quello investito, e si può anche dire “giustamente”, si contrappongono gli obbligazionisti: da una parte i senior che si vedranno rimborsati del 100% del capitale investito, mentre dall’altra i detentori di obbligazioni junior, che riceveranno solo un rimborso forfettario. Un’altra questione facilmente sollevabile è: è giusto che chi ha investito in questi titoli venga comunque rimborsato? I titoli junior, ovvero le obbligazioni subordinate, verranno, anche se solo in parte, rimborsate, riducendo quindi il rischio a cui sono sottoposti i soggetti; lo stesso vale per le obbligazioni ordinarie, ovvero le senior, che verranno rimborsate al 100% del capitale investito, creando per l’investitore un rischio zero e capital gain da capogiro, visto che queste erano quotate ampiamente sotto la pari. È giusto quindi che per il guadagno di pochi ci rimettano tutti i contribuenti? A questo si ricollega il problema italiano dell’ignoranza finanziaria e del voler investire senza rischi, tanto paga lo Stato.

Alle conseguenze sui conti pubblici, che sono state già considerate e che non peseranno ulteriormente, seguono quelle sul sistema bancario nazionale, europeo e sulle condizioni generali di salute dell’Italia.

Come visto negli ultimi anni, l’Italia ha attraversato una situazione turbolenta per via delle condizioni delle banche, coinvolgendo tutto il sistema: il caso Montepaschi ha tenuto banco a lungo, generando pesanti ripercussioni che hanno coinvolto sia l’apparato economico che politico; le banche toscane hanno generato caos con l’applicazione, prima dell’entrata in vigore, delle norme sul bail-in creando un caso politico che ancora tiene banco e ora, con la soluzione del “problema” veneto, considerato anch’esso sistemico come Mps, non si vedono, per ora, crisi nel sistema bancario nostrano. Infatti, anche secondo quanto affermato dal vice direttore generale di Bankitalia Fabio Panetta, questo potrebbe essere un “punto di svolta per il sistema bancario italiano”, che potrebbe cambiare l’immagine e la percezione del sistema italiano, che non presenta più particolari criticità. A questo Panetta aggiunge che lo shock generato a un eventuale bail-in avrebbe impattato violentemente sull’economia reale di una regione chiave nel panorama nazionale come quella veneta.

Il caso delle venete si conclude poco dopo la chiusura di un’altra crisi bancaria, quella dello spagnolo Banco Popular. Secondo molti, quello che è avvenuto con la banca spagnola dove replicarsi con le due venete. Riassumendo, Santander ha acquistato anch’essa al prezzo simbolico di un euro la banca in crisi, accollandosi tutto: perdite, dipendenti e crediti deteriorati, dovendo provvedere così a un aumento di capitale di 7 miliardi da reperire nel mercato. Non un euro pubblico è stato sborsato per favorire l’acquisizione, ma sono state applicate le normative europee del burden sharing, ovvero della condivisione del rischio. A farne le spese sono stati gli azionisti e obbligazionisti subordinati, che hanno visto azzerarsi il proprio investimento. Applicando le norme europee non un centesimo dei contribuenti è stato erogato, facendo sostenere il rischio a chi effettivamente avrebbe dovuto sostenerlo. Inoltre, il gruppo Santander ha considerato strategica l’acquisizione: così facendo è diventato il primo gruppo bancario spagnolo, divenendo il principale sostenitore delle pmi, estremamente rilevanti all’interno del tessuto economico spagnolo. Perché non si è fatto lo stesso in Italia? Probabilmente per ragioni politiche e di convenienza, in quanto, quasi sicuramente, Intesa non si sarebbe fatta carico di un aumento di capitale da ricercare nel mercato.

Le conseguenze europee del caso veneto potrebbero essere pesanti: i passi fatti avanti nei confronti di una unione bancaria europea sembrano cancellati, minando la credibilità della stessa. Tutto quello che ha fatto l’Italia, è lecito e legale, in quanto ha applicato la normativa italiana bypassando quella europea, ma potrebbe non essere stata la scelta migliore. Innanzitutto, Intesa è sicuramente favorita da questa operazione, in quanto ne uscirà rafforzata dal punto competitivo, e, inoltre, manterrà inalterati i propri rapporti patrimoniali grazie ai fondi pubblici. Il comportamento del governo italiano ha irrigidito i rapporti con la Germania che da ora sarà più scettica nel completare l’unione bancaria europea, dove i più favorevoli sono gli italiani Visco e Padoan. Per molti, quindi, la credibilità europea, costruita con i casi delle toscane e del Banco Popular, è stata compromessa se non distrutta e sarà difficile riguadagnare quello che si è perso.

Per quanto riguarda il territorio italiano, una questione spinosa è quella degli esuberi e delle filiali: migliaia di dipendenti, in maggioranza di Intesa, saranno prepensionati volontariamente e centinaia saranno le filiali a chiudere, in ordine di una razionalizzazione già cominciata tempo addietro dalla banca con sede a Torino.

La situazione di Veneto Banca e Popolare di Vicenza poteva quindi essere gestita diversamente, magari come la banca spagnola senza esborsi statali, ma è finalmente giunta a una conclusione. I costi saranno rilevanti, ma forse più bassi del previsto, e in ogni caso peseranno sulle generazioni future. L’Europa in questo frangente ha probabilmente perso credibilità, ma le vere conseguenze si potranno vedere solamente in futuro. Le scelte del governo sono state indirizzate comunque a scontentare il minor numero possibile di investitori, ovvero molti cittadini, con ovvie ragioni politiche. In ogni caso, l’unico vincitore certo che può essere proclamato al momento è Intesa che ha rafforzato la propria posizione e presenza sul territorio.

 

Articolo pubblicato anche su theWise (https://www.thewisemagazine.it/2017/07/08/la-fine-delle-banche-venete/).

 

                                                                                                                                          Domenico Sorice

Social Media Responsible Invenicement