• Skip to primary navigation
  • Skip to main content
logo-invenicement

Invenicement

Il primo business club della prima business school d'Italia

  • Home
  • Chi siamo
    • Team 2020-2021
    • Team 2019-2020
    • Team 2018 -2019
    • Team 2017-2018
    • Team 2016-2017
    • Team 2015-2016
    • Team 2014 – 2015
    • Team 2013 – 2014
  • Sponsor
    • Partner
  • Blog
    • Scrivi un articolo
  • Eventi
  • INVEF
    • INVEF 2019
    • INVEF 2018
    • INVEF 2017
  • V.M.I.
    • VMI TEAM BOARD 2018-2019
    • VMI TEAM BOARD 2017-2018
    • VMI TEAM BOARD 2016-2017
  • Contatti
  • Join Us

Andrea Pelizzer

Quello che i media non dicono sulla blockchain

Marzo 5, 2019 by Andrea Pelizzer

I media di tutto il mondo si concentrano sul crollo del prezzo del Bitcoin che nel 2018 ha perso quasi l’80% del suo valore e ogni giorno i giornalisti ci ricordano che l’intero fenomeno è solamente una bolla speculativa passeggera. Se questo è vero, allora perché tutti i grandi investitori hanno aumentato gli investimenti nel settore?

 

Il tonfo del prezzo del Bitcoin nel 2018

I giornalisti che dichiarano che la Blockchain è solo una moda passeggera spesso sono proprio gli stessi che a fine dicembre 2017, quando il valore del Bitcoin è riuscito ad avvicinarsi persino ai ventimila dollari per unità (il suo massimo storico), paragonavano la “catena dei blocchi” alla nuova rivoluzione industriale.

Da quel momento in poi l’intero mercato delle criptovalute ha cominciato a restringersi ed è entrato nella fase “orso” (al ribasso). Il 2018 non è risultato particolarmente clemente e, soprattutto con l’arrivo della stagione autunnale, il trend ribassista delle criptomonete ha accelerato la sua velocità, offrendo opportunità di guadagno sulle vendite al ribasso.

La quotazione della criptovaluta più famosa al mondo è passata, infatti, dai 15.343 dollari di inizio gennaio 2018 ai 3.782 dollari di fine dicembre dello stesso anno, gettando nuove ombre sulla tenuta dell’intero comparto virtuale.

 

Un andamento decisamente negativo che mal si è confrontato con le brillanti performance registrate dalla quotazione nello stesso periodo dell’anno precedente, con le strette dei regolatori e il rischio di manipolazione indicati come le principali cause di questo tonfo.

A questi dati, i sostenitori della criptoeconomia ricordano che il valore del Bitcoin, nei sette mesi precedenti al suo massimo storico, era cresciuto di ben quindici volte. Ma la crescita di dicembre 2017, ovvero quando il mercato era “toro” (rialzista), è stata generata in gran parte da considerevoli operazioni speculative forse irripetibili, che hanno consentito a una minoranza di arricchirsi sfruttando un mercato ancora con moltissime zone grigie. Il 20% dei bitcoin in circolazione si stima, infatti, sia detenuto da soli 100 account.

 

Nel 2018 quadruplicati gli investimenti sulla blockchain

Il crollo del prezzo del Bitcoin è un dato oggettivo e dovrebbe dimostrare che l’innovazione della Blockchain è solo una bolla. Quello, però, che i media non dicono è che gli investimenti nella tecnologia alla base delle criptovalute continuano a ritmi mai visti. Mentre, per tutto il 2018, i piccoli investitori si affrettavano a vendere i bitcoin al ribasso perdendo stipendi e risparmi, i fondi di investimento ed i venture capital hanno quadruplicato gli investimenti nelle ricerche in questo campo.

Da un miliardo di dollari investito nel 2017, gli investimenti sono saliti a 3.9 miliardi nei primi 9 mesi del 2018. Un tasso di crescita annuale degli investimenti del 510% che nessun altro mercato può vantare.

 

 

Chi ci ha creduto di più nel 2018 è stata Digital Currency Group, un insieme di investitori convinti che i bitcoin e la blockchain guideranno l’economia globale e il cambiamento sociale dei prossimi anni. Fino ad oggi il gruppo ha effettuato complessivamente 118 investimenti. In uno dei più recenti, a favore della società Silvergate Bank, l’ammontare investito ha raggiunto quota 114 milioni di dollari.

Inoltre, da quanto emerge dal nuovo report di International Data Corporation (IDC), la spesa a livello globale per la tecnologia blockchain dovrebbe raggiungere quota 11.7 miliardi di dollari nel 2022.

Il motivo di questi ingenti investimenti sta nella possibilità delle soluzioni blockchain in sviluppo di aumentare l’efficacia e ridurre i costi sia nel settore del manufatturiero così come nel settore della distribuzione e dei servizi. Jessica Goepfert, vicepresidente di IDC, afferma: “Prevediamo un’importantissima crescita della tecnologia blockchain negli anni a venire. Permette di risolvere problemi reali, ecco perché diversi stakeholders sono così interessati a svilupparla”.

Le applicazioni di questa tecnologia sono infatti infinite, dal tracciare la provenienza dei diamanti al creare un demanio statale più efficace contro le frodi. La blockchain potrebbe poi essere utilizzata come piattaforma alternativa per il pagamento di qualsiasi oggetto, consentendo anche il trasferimento istantaneo e sicuro di documenti, come il passaggio di proprietà o i passaggi assicurativi. Lo stesso può avvenire per i dati sensibili, come nel caso della sanità (analisi, cartelle mediche) o della pubblica amministrazione.

Servirà qualche anno per lo sviluppo di queste applicazioni, ma nel frattempo sarebbe meglio iniziare a familiarizzare con una tecnologia destinata a cambiare molti aspetti della vita quotidiana.

 

Conclusione

Nel 2019 il valore delle criptomonete potrà salire o scendere. Da un lato, i sostenitori delle criptovalute prevedono quotazioni per il Bitcoin in grado di far impallidire i 20 mila dollari sfiorati a dicembre 2017. All’estremo opposto, giornalisti e media come Bloomberg, che nel dicembre scorso ha pubblicato un articolo intitolato “Will Bitcoin crash in 2019?”, ipotizzano un probabile sprofondamento della madre di tutte le criptovalute nel 2019.

Comunque vada, che alla fine la spuntino gli entusiasti o gli scettici, la tecnologia che è alla base delle criptomonete, la Blockchain, continuerà a crescere in modo esponenziale. E insieme alla catena dei blocchi continueranno ad aumentare gli investimenti, i posti di lavoro e l’arricchimento dei suoi operatori.

 

 

 

Filed Under: Blog

Fintech: perché nel 2019 continuerà a crescere

Gennaio 24, 2019 by Andrea Pelizzer

Il 2018 è stato davvero un anno da record per la tecnologia finanziaria (Fintech) e il futuro del settore appare sempre più luminoso. Banche ed assicurazioni, aggredite dal passo delle startup fintech e dei grandi giganti tecnologici che stanno entrando nel settore bancario, come Google e Facebook, sono in fase di investimento frenetico per innovarsi. Stando a quanto riportato da CB Insights, il livello dei finanziamenti in servizi di tecnologia finanziaria nel 2018 ha raggiunto i 10.9 miliardi di dollari solo negli USA, superando sia il mercato delle intelligenze artificiali (A.I.) che della salute (health-tech), fermatisi rispettivamente a 9.3 e 8.6 miliardi.

 

Questo crescente volume di investimenti rispecchia il valore di queste tecnologie e il loro apprezzamento da parte di un pubblico sempre più desideroso di servizi all’avanguardia. Ciò continuerà a posizionare il fintech in un ruolo chiave nel panorama dei servizi finanziari.

 

Cos’è il Fintech?

Da un sondaggio di EY, la percentuale di consumatori nel mondo che utilizza due o più servizi tecno-finanziari è salita al 35%, ma gli utenti spesso non sono a conoscenza del fatto che le applicazioni dei servizi che usano giornalmente siano considerate fintech. Facciamo chiarezza.

Il termine inglese Fintech sta per “financial technology” e indica quella fornitura di servizi e prodotti finanziari erogati attraverso le più moderne tecnologie informatiche. Si tratta di un’industria multimiliardaria in forte crescita che sta cambiando il modo in cui facciamo acquisti, otteniamo prestiti, risparmiamo e ci rapportiamo con le banche.

I soggetti maggiormente coinvolti in questo processo sono le startup che hanno saputo innovare e catturare l’attenzione del pubblico. Nel Regno Unito, la nazione europea con il più alto numero di unicorni (le startup valutate più di un miliardo di euro), su sette unicorni ben quattro sono posizionati nel fintech. Tra questi ci sono Revolut e Transferwise, due società che hanno rispettivamente tre ed otto anni e valgono complessivamente 2.7 miliardi di dollari.

Anche istituti in ambito bancario e assicurativo sono artefici di questa trasformazione e stanno investendo nello sviluppo interno o nell’acquisizione di progetti fintech. Questi ultimi, però, rischiano di rimanere indietro per la possibile concorrenza di giganti come Google, Apple, Facebook e Amazon, che da settembre prossimo potrebbero anche fare da banca grazie alla direttiva Psd2.

Tutta questa competizione in questo settore contribuirà a incentivare l’innovazione. Renderà, inoltre, più difficile la vita alle piccole startup, ma sarà un beneficio per l’industria nel suo complesso.

 

Quali sono le tendenze Fintech che guideranno il 2019?

Il 2019 sarà un anno chiave per quanto riguarda il Fintech. L’industria si sta evolvendo con le ultime tecnologie e il pubblico sembra pronto per ricevere le novità di questo settore.

All’interno del parco Fintech le cinque tendenze più significative sono le seguenti:

  1. Tecnologia Mobile: la forte tendenza verso l’uso dei dispositivi mobili ha portato i servizi finanziari a diventare sempre più mobile-friendly. Grazie al mobile banking, i clienti possono gestire il loro denaro in comodità senza doversi recare in filiale.
  2. Banche solo digitali: mentre sempre più persone usano gli smartphone per le transazioni finanziarie, il numero di banche senza filiali fisiche sta aumentando. Alcuni esempi sono Revolut e N26. Queste banche digitali permettono ai loro clienti di gestire il loro denaro tramite app per dispositivi mobili.
  3. Tecnologia biometrica: la sicurezza, per l’industria del Fintech, è diventata una priorità nell’era digitale. L’uso della tecnologia biometrica è la soluzione più efficiente per prevenire le frodi.
  4. Tecnologia blockchain: l’industria dei servizi finanziari continuerà a concentrarsi su questa tecnologia a causa della sua trasparenza e dei contratti intelligenti che possono automatizzare le operazioni finanziarie.
  5. Intelligenza artificiale: l’utilizzo di questa tecnologia nel Fintech sarà indispensabile per risparmiare tempo in attività come l’analisi dei dati e sarà impiegata per creare chatbot e robo-advisor.

 

Per ciascuna di queste tendenze moltissime startup nascono e ottengono finanziamenti con l’obiettivo di innovare il sistema finanziario tradizionale, creando un modello più conveniente per il cliente in quanto alla velocità, alla qualità e all’esperienza offerta e più efficiente, perché basato sulle più recenti tecnologie.

Queste iniziative, però, devono stare in contatto con il pubblico e apparire affidabili, conquistando, così, la fiducia del consumatore che potrebbe non volere abbondonare il modello classico.

 

I numeri in Italia

Anche in Italia, un paese che da sempre si è dimostrato particolarmente lento nell’adozione di nuove tecnologie, l’ecosistema fintech sembra essere maturo. Secondo i dati dell’Osservatorio Fintech e Insurtech del Politecnico di Milano otto startup del fintech in Italia hanno già superato il milione di euro di finanziamenti ricevuti, con la startup dei pagamenti digitali Satispay che ha chiuso un round di finanziamenti da ben 10 milioni di euro nel 2018 ed è la prima società italiana a entrare nella classifica delle top 100 aziende fintech al mondo.

Inoltre, stando a quanto riportato dall’omonimo Osservatorio, 11 milioni di italiani hanno utilizzato almeno un servizio fintech nel 2018 e ne sono rimasti soddisfatti: particolarmente apprezzati sono risultati i servizi di mobile payment, i servizi per gestire il budget, i servizi per trasferire denaro istantaneamente tra privati e i servizi per la gestione digitale dei sinistri.

Marco Giorgini, responsabile dell’Osservatorio, commenta così lo scenario italiano in questo contesto: “Il digitale sta rivoluzionando l’ecosistema finanziario italiano favorendo la nascita di attori innovativi, ma bisogna accelerare il processo di trasformazione digitale per non farsi trovare impreparati. È necessario approfittare delle opportunità offerte da nuove tecnologie come la blockchain e le piattaforme di robo-advisor per proporre nuovi servizi di valore”.

 

 

Conclusione

Sono ormai pochi i dubbi che proprio questo settore abbia acceso il vero motore del cambiamento dei servizi bancari, modificando profondamente il modo di operare delle banche. Il Fintech è certamente un nuovo mercato e può essere definito come la finanza del XXI secolo. Tra un paio d’anni potremmo trovarci a parlare di e-finance con la stessa semplicità con cui oggi parliamo di e-commerce. Come ha affermato Paul Grady, socio di Sequoia Capital (un’impresa di venture capital che ha finanziato società diventate icone dell’high-tech USA), “Se volete sognare un po’, l’intero sistema finanziario mondiale potrebbe essere presto ridisegnato con nuove società che vediamo nascere oggi”. Giusto per non smettere di sognare, continueremo a parlarne.

 

 

Andrea Pellizzer

Filed Under: Blog

Exchange Traded Funds

Ottobre 30, 2018 by Andrea Pelizzer

In meno di 25 anni, gli Exchange Traded Funds (ETF) sono diventati uno dei più popolari veicoli di investimento passivo fra gli investitori professionali e quelliretail grazie ai loro bassi costi di transazione e alla liquidità quotidiana che essi garantiscono. Questa tendenza viene confermata dal seguente grafico: come si vede, gli investitori retail e quelli professionalisono i maggiori detentori di ETF, a cui seguono le banche private ed i brokers con percentuali più ridotte.

Evoluzione degli investitori in ETF

Dalla loro prima entrata in scena nel 1990, con il primo ETF introdotto dalla Toronto Stock Exchange, gli ETF sono stati protagonisti di una crescita spettacolare, alla fine del 2016 rappresentavano oltre il 10% della capitalizzazione di mercato dei titoli negoziati sulle borse statunitensi e oltre il 30% del volume complessivo degli scambi giornalieri.

Questo articolo ha come obiettivo quello di fornire, nella prima parte, una breve panoramica su cosa sono gli ETF e nella seconda parte invece, verranno riportate le ragioni di questa crescita e le cifre di questa tipologia di fondi.

 

page1image1833856

Fonte: Deutsche Bank ETF Research, Bloomberg Finance LP, FactSet.

 

Cosa sono gli ETF

Prima di fotografare la situazione degli ETF a livello globale, è necessario capire cosa sono. ETF è l’acronimo di Exchange Traded Fund, un termine con il quale si identifica una particolare tipologia di fondo d’investimento con due principali caratteristiche:

–  è negoziato in Borsa come un’azione;

– ha come unico obiettivo d’investimento quello di replicare l’indice alquale si riferisce, il cosiddetto benchmark, attraverso una tipologia di gestione passiva.Un ETF riassume in sé le caratteristiche proprie di un fondo e di un’azione, consentendo agli investitori di sfruttare i punti di forza di entrambi gli strumenti ovvero:

–  diversificazione e riduzione del rischio proprio dei fondi;

–  flessibilità e trasparenza informativa della negoziazione in tempo reale delle azioni.Di conseguenza, l’ETF consente di:

– prendere posizione in tempo reale sul mercato target con una sola

operazione di acquisto;
– realizzare l’identica performance dell’indice benchmark: l’ETF

cons ente di ottenere un rendimento pari a quello del benchmark di riferimento in virtù di una “gestione totalmente passiva”, ad esempio, replicando al suointerno esattamente la composizione ed i pesi dell’indice al quale si riferisce.

– avere un prezzo di mercato costantemente allineato al NAV (Net AssetValue);

– ottenere un’ampia diversificazione, infatti investire in un ETF significa prendere facilmente posizione su un intero indice di mercato, che facendo riferimento ad un paniere ampio di titoli, diversifica e diminuisce i l rischio dell’investimento.

– ridurre il costo del proprio portafoglio: gli ETF presentano una commissione totale annua ridotta e applicata automaticamente in proporzione

al periodo di detenzione, non sono previste altre commissioni a caricodell’investitore.

– beneficiare di proventi periodici (i dividendi o gli interessi che l’ETFincassa a fronte delle azioni/obbligazioni detenute nel proprio patrimonio possono essere distribuiti periodicamente agli investitori o capitalizzatistabilmente nelpatrimoniodell’ETF stesso)1.

I fattori che hanno favorito la crescita degli ETF

Una volta spiegato il meccanismo che sta dietro a questo veicolo di investimento, l’obiettivo è ora quello di descrivere la crescita dell’investimento passivo che, anche grazie ad una maggiore efficienza dei mercati finanziari, negli ultimi anni ha registrato dei flussi positivi, a differenze di quello attivo che invece s i trova sempre più in difficoltà.

page3image3814528

Fonte: Borsa Italiana

 

 

Il numero di ETF resta certamente ancora molto basso rispetto a quello dei fondi comuni tradizionali, ma la loro crescita rappresenta qualcosa di mai visto, così come la rapida nascita di tipologie di ETF con nuove caratteristiche e strategie di investimento. Grazie alla loro struttura, essi offrono agli investitori nuove opportunità e opzioni che prima non erano disponibili.

La diffusione degli Exchange Traded Funds è dovuta soprattutto alla riduzione dei costi di gestione; essi offrono infatti a chiunque la possibilità di eseguire una diversificazione ottimale del portafoglio a costi molto più bassi di quelli che i fondi tradizionali hanno richiesto per anni.

In un contesto caratterizzato da bassi rendimenti, il fattore costo viene considerato unodei driverprincipaliperottenere degli extra rendimenti rispetto alla media nel lungo periodo. Questo viene evidenziato da Vanguard che, in una recente ricerca, evidenzia quanto sia importante per un investitore l’impatto deicosti sul risultato finale. Il concetto centrale dello studio, da cui deriva la preferenza teorica che un investitore dovrebbe avere nei confronti degli Exchange Traded Funds, rispetto alle gestioni attive, risiede nella constatazione che il mercato può essere considerato come un gioco a somma zero. Dove in ogni istante il mercato è rappresentato dalla somma cumulata di ogni posizione mantenuta dagli investitori; ne consegue che il rendimento di mercato a livello aggregato è la somma dei rendimenti ponderati di ogni partecipante al mercato.

Riassumendo: per ogni singola posizione che per qualche ragione sovra performa l’indice di mercato, ci deve essere qualche altra posizione che lo sotto performa, in modo che la somma del gioco sia pari a zero, e dove la media, utilizzata per misurare le performance, è rappresentata dal rendimento dell’indice di mercato.

Ipotizzando la distribuzione dei rendimenti di mercato come una gaussiana nella quale il valore centrale è rappresentato proprio dal rendimento dell’indice eintroducendo i costi di transazione e tutte le voci di costo associabili ad un investimento, come ad esempio i costi di gestione e amministrazione, si ottiene uno slittamento verso sinistra di tale curva. Di conseguenza maggiori sono i costiche vengono applicati, maggiore sarà la riduzione di rendimento per l’investitoree la performance aggregata per gli investitori non sarà più a somma zero.

page5image3819680

Fonte: The Vanguard Group Inc.

 

Questo consente di evidenziare quanto i costi incidano in modo determinante: un investitore che intende minimizzare la possibilità di sotto performare il benchmark, potrebbe semplicemente limitarsi ad abbattere il più possibile i costi.

Con gli ETF che rappresentano il 3% dei costi totali e i fondi passivi, nel loro complesso, che registrano soltanto il 6% dei costi totali dell’intera industria, questa tipologia di prodotti di investimento sono destinati ad avere la meglio dato che dal punto di vista dei costi non hanno rivali.

Spese di gestione per ciascuna categoria

page5image3818784

Fonte: Boston Consulting Group 2018. Financial Times

 

L’industria degli ETF in cifre

Come riporta il provider di dati, ETFGI, le masse globali investite in fondi passivi superano i 5100 miliardi di dollari a fine luglio 2018, con un incremento degli asset del 5,9%, registrando da 4 anni e mezzo un periodo di nuovi apporti cons ecutivi.

A livello europeo invece, le masse di raccolta salgono a 827 miliardi di dollari (luglio 2018), con una crescita del 3,17% da inizio anno, con il tasso di crescita a 10 anni che si attesta appena sotto il 20% annuo. Come dimostra il grafico di seguito, dal 2008, c’è stata una crescita senza precedenti.

Fonte: ETFGI Dati inizio 2018.

Per quanto riguarda l’Italia, l’offerta è di 850 tipologie di ETF, con un patrimonio totale di circa 68 miliardi di dollari e una crescita costante negli ultimi anni; secondo gli operatori del settore, nel 2019 questa sarà ancora più rilevante.

Nell’industria mondiale i maggiori provider, in base ai dati di pubblicati daFactSet, s ono:

– BlackRock (iShares) con 1,4 trilioni di dollari di AuM (asset under management);

–  Vanguard con 918 miliardi di dollari di AuM;

–  State Street Global Advisors con 637 miliardi di dollari di AuM.

page6image3819456

Fonte: ETFGI Dati inizio 2018.

 

Di recente ha fatto molto discutere l’entrata come provider di J.P. Morganche, dopo anni in cui è rimasta fuori dal mercato degli ETF, ha iniziato a giocare unruolo da protagonista. Dall’inizio dell’anno il business degli ETF di J.P. Morgan è cresciuto dai 6,2 miliardi di dollari fino a 14,6 miliardi di dollari, una cifra irrisoria rispetto agli oltre 2 trilioni di dollari di AuM, che però consente di capire il cambio di strategia da parte di una delle maggiori banche a livello mondiale.

Non sono passati inosservati in particolare i tre ETF quotati da J.P. Morgan che hanno superato il miliardo di dollari in poco tempo dopo la loro quotazione. In particolare, due, gli ETF (JPMorgan Beta Builders Japan ETF (BBJP) e JPMorgan BetaBuilders Canada ETF (BBCA)), sono diventati i più veloci della storia a raggiungere una capitalizzazione pari al miliardo di dollari.

Conclusione

Dal primo decennio di questo secolo, gli ETF sono sicuramente protagonistidel grande cambiamento avvenuto nell’industria dell’asset management.

La semplicità ed i bassi costi hanno sicuramente avvantaggiato questa crescita rispetto ai fondi a gestione attiva. Secondo le stime di BlackRock, questa industria è destinata a crescere ancora nei prossimi anni, si stimano addirittura 12 trilioni di dollari investiti negli ETF nel 2023.

page7image3826176

Fonte: BlackRock, Global Business Intelligence, Aprile 2018.

Senza dubbio in futuro questi strumenti saranno oggetto di discussione sia peri regolatori che per gli esperti del settore visto che anche nei prossimi anni saranno fra gli strumenti di investimento più gettonati.

Filed Under: Blog

Blockchain: Rivoluzione in atto

Ottobre 19, 2018 by Andrea Pelizzer

Mai come oggi la tecnologia della “catena dei blocchi” sembra aver acquistato interesse e centralità.

Giorno per giorno le analisi di mercato esaltano la diffusione degli investimenti in tecnologie Blockchain indicando trend impressionanti.

Tra i report più recenti IDC (International Data Corporation) prevede per il 2018 una spesa mondiale pari a 2,1 miliardi di Dollari: più del doppio rispetto al miliardo sfiorato nel 2017, con una prospettiva di crescita media oltre l’80% annuo. E il World Economic Forum sostiene addirittura che il 10% del PIL mondiale sarà presto basato sulla tecnologia blockchain.

Le potenzialità di questa nuova tecnologia sono enormi, in gran parte ancora da sperimentare. È cruciale, dunque, esplorare le caratteristiche e le opportunità di una tecnologia che potrebbe essere il fattore chiave per arrivare al cosiddetto “Internet of value”, ossia a un mondo interconnesso che consente l’ottimizzazione in tempo reale di processi produttivi e attività economiche.

 

Cosa significa blockchain?

 

La Blockchain, della famiglia dei Distributed Ledger (i sistemi che permettono ai nodi di una rete di raggiungere il consenso sulle modifiche di un registro distribuito in assenza di un ente centrale), è una tecnologia che permette la creazione e la gestione di un grande database distribuito per la gestione di transazioni condivisibili tra più nodi di una rete.

Le informazioni dei database utilizzati in azienda sono tipicamente accentrate in un unico punto di accesso (e di vulnerabilità). Con la tecnologia blockchain la base di dati è invece distribuita in un insieme di nodi di una rete, tutti concatenati tra loro. Ciascun nodo ha il compito di vedere, controllare e approvare tutte le transazioni e ogni record viene memorizzato in modo tale da includere una quota di informazioni che fanno capo ad altri dati già immagazzinati in precedenza. Questo rende possibile la creazione di una rete che permette la tracciabilità di tutte le transazioni che, proprio per essere presenti su tutti i nodi della rete, sono immodificabili (se non attraverso la riproposizione degli stessi a tutta la rete) e immutabili. E la manomissione delle informazioni diventa così virtualmente impossibile.

 

La blockchain è, oltre a quanto è stato appena detto, la tecnologia alla base del Bitcoin, il re delle criptovalute, ossia le monete virtuali decentralizzate che utilizzano alcuni principi della criptografia per rendere sicuri gli scambi tra utenti: a differenza delle valute tradizionali, il governo non ha alcun controllo sulle cryptocurrencies e le regole di scambio sono indicate in un software open-source pubblicamente controllabile.

 

L’evoluzione della blockchain

 

Da gennaio 2009, data del debutto di Bitcoin, il mondo della blockchain ha conosciuto una profonda crescita ed evoluzione. Ciò che una volta era associato al mercato illegale e considerato solamente una moda, ha conosciuto una progressiva crescita di interesse, modificando l’approccio comune dei regolatori.

Successivamente sono nate altre piattaforme basate sugli stessi principi del Bitcoin: nel 2012 Ripple, per i pagamenti interbancari; nel 2014 Ethereum, per i contratti intelligenti; e nel 2015 Hyperledger per lo sviluppo collaborativo del registro distribuito.

Con l’inizio della moda blockchain, è cresciuta freneticamente la capitalizzazione del Bitcoin e delle altre valute e sono iniziate numerose sperimentazioni. Oggi, infatti, qualsiasi settore può beneficiare dall’applicazione di soluzioni blockchain.

 

L’espansione della blockchain

 

Secondo i dati dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano, sono 331 i progetti basati sulla blockchain censiti a livello internazionale da gennaio 2016 ad oggi.

I principali campi di applicazione della tecnologia sono il tracciamento e supply chain, la gestione dati e documenti e i processi nei sistemi di pagamento e sei progetti su dieci riguardano il settore finanziario.

Ma la tecnologia si sta diffondendo in numerosi altri ambiti applicativi ed è in piena espansione: nel 2017 le sperimentazioni della blockchain avviate o in fase di “Proof of concept” nelle imprese sono cresciute del 73% rispetto all’anno precedente e gli annunci si sono spinti fino al 273% in più. In particolare, le applicazioni della blockchain hanno riguardato, oltre che alla finanza, anche l’attività di governo (il 9%), della logistica (7,2%), delle utility (3,9%), dell’agrifood (3%), delle assicurazioni (2,7%), fino ai media (1,8%) e alle telecomunicazioni (1,2%).

Il 2017, secondo IDC, è stato l’anno per sperimentare la Blockchain negli ambiti più diversi, ma sarà proprio il 2018 l’anno del passaggio delle sperimentazioni limitate alle implementazioni complete. Governi e banche centrali di tutto il mondo hanno già iniziato a studiare il fenomeno blockchain e a oggi si contano più di 30 progetti con l’obiettivo di rendere più efficienti monete e sistemi di pagamento.

Tra i più interessanti c’è sicuramente quello riguardante gli “smart contracts”, ovvero contratti intelligenti espressi in codice in cui il modello transazionale criptato serve ad accertare automaticamente la realizzazione di tutti gli adempimenti previsti. Un’incredibile opportunità per le parti di portare avanti i loro affari, facendo a meno di notai, giudici e pubblici ufficiali e affidandosi a un trust di fiducia distribuito che assicura la legittimità e la correttezza delle operazioni.

 

Blockchain in Italia

 

I Paesi dove la blockchain e i bitcoin si stanno diffondendo sono sempre più numerosi e l’Europa gioca un ruolo importante nello sviluppo di queste tecnologie. Ad oggi la Commissione europea ha, infatti, investito più di 80 milioni di euro per lo sviluppo della blockchain e ne sono previsti circa altri 300 milioni entro il 2020. L’Italia, malgrado la presenza di una solida comunità di sviluppatori, è tra i Paesi più indietro su questo fronte ed è stata, fino ad oggi, una delle grandi escluse dell’accordo europeo sulla blockchain. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ha, però, siglato poche settimane fa l’adesione dell’Italia alla “European Blockchain Partnership”, una iniziativa tra gli Stati membri che punta a favorire lo scambio di competenze e di expertise, in campo tecnico e normativo, al fine di aiutare a creare nuove opportunità di business.

Questa nuovo accordo può, quindi, essere l’occasione per promuovere iniziative e progetti riguardanti blockchain, intelligenza artificiale e Internet of things in Italia. Un aspetto molto rilevante per le aziende italiane, visto che quest’ultime sono spesso un’eccellenza sui temi dell’innovazione e come spiega Valeria Portale, direttrice dell’Osservatorio Blockchain del Politecnico di Milano, “la blockchain potrebbe avere un impatto notevole per il made in Italy in termini di tracciabilità e di anticontraffazione: è necessario non rimanere fermi per evitare un gap di competenze difficile da colmare.”

 

Andrea Pellizzer

 

Filed Under: Blog

Fundraising europeo a quota 91.9 miliardi: è il livello più alto dal 2006

Ottobre 11, 2018 by Andrea Pelizzer

I settori del private equity e del venture capital in Europa sono decisamente in crescita, con 8000 fondi di investimento e 250 000 operazioni tracciate nel 2017; a dirlo sono Invest Europe e Private Equity Monitor, i principali report sul mercato degli investimenti in capitale di rischio.

 

 

Il totale raccolto attraverso l’attività di fundraising nel 2017 ha raggiunto la più alta cifra dal 2006 pari a 91.9 miliardi di euro, con un incremento del 12% annuo; il numero di fondi che raccolgono nuovi capitali è aumentato del 15%, raggiungendo le 542 unità.

Il 29% di tutto il capitale raccolto è stato fornito dai fondi pensione; seguono i funds of funds con una quota pari al 20%, i family offices & private individuals con il 15%, i fondi sovrani che contribuiscono per il 9% e le compagnie di assicurazione per l’8%.

Gli investitori istituzionali non europei hanno contribuito per più del 40%, con gli investitori asiatici che hanno conferito una quota pari al 15% del totale, rappresentando ad oggi i soggetti maggiormente interessati all’attività.

 

Anche il Venture capital europeo è cresciuto del 34% raggiungendo la notevole cifra di 6.4 miliardi di euro e superando il picco del 2008 di oltre il 13%, con più di 3800 imprese che ne hanno beneficiato.

Sono cresciute, inoltre, le dimensioni medie dei fondi venture capital, con 100 milioni di final closing e con un conseguente aumento dei round di investimento e del numero di “unicorni” europei, ossia delle aziende che, nell’arco del breve periodo, sono riuscite a conquistare un patrimonio capitale di oltre un miliardo di euro.

 

La situazione in Italia

In Italia gli investimenti in capitale di rischio sono ancora in fase embrionale. Secondo il report AIFI (Associazione Italiana del private equity, venture capital e private debt) nel 2017 sono stati raccolti quasi 5 miliardi di Euro (ovvero il 5% del totale europeo), con una decrescita degli investimenti del 40% rispetto all’anno precedente.

Sebbene nel 2017 l’ammontare investito nel mercato italiano del private equity e del venture capital sia stato il terzo valore più alto raggiunto negli ultimi dieci anni (dopo quanto conseguito dall’Italia nel 2016 e nel 2008), il risultato è stato raggiunto poiché tre fondi (F2i Sgr, QuattroR Sgr e Fondo italiano d’Investimento Sgr) hanno investito da soli un importo superiore a oltre 4 miliardi di Euro, pari all’82% della raccolta complessiva italiana. In totale è diminuito del 3%  anche il numero delle operazioni, passando a 311. Il 2016 aveva contato 322 operazioni per un totale di 8.2 miliardi di Euro di investimenti, un record assoluto, trainato, però, da 17 large e mega-deal.

 

 

In aggiunta, nel 2017, c’è stata una diminuzione degli investimenti iniziali in nuove startup del 38%, con 57 investimenti contro i 92 del 2016. Le ragioni di tale decrescita sono legate al fatto che alcuni operatori internazionali nel 2017 erano ancora in fase di fundraising, e quindi non hanno chiuso i loro investimenti.  In secondo luogo, diversi operatori hanno concentrato le proprie attività dell’anno scorso in operazioni di “follow on”, ovvero negli investimenti dedicati ai round successivi al primo, che sono passati nel 2017 a 21, rispetto ai 10 dell’anno precedente.

Anna Gervasoni, che presiede il Comitato Scientifico del Venture Capital Monitor, però afferma: “Il 2017 vede una crescita dei follow on, segno che l’attività del fondo di venture capital non si limita a un semplice investimento iniziale, ma è l’avvio di un percorso che vede l’affiancamento dell’operazione al progetto”.

Tale attività, secondo Gervasoni, potrà quindi permettere alle società di affermarsi nel proprio mercato di riferimento.

Da sottolineare invece come sia cresciuto il numero di operazioni di disinvestimento, toccando il suo massimo storico nel 2017 (202 operazioni) per un controvalore di 3.7 miliardi di Euro.

 

Conclusione

Il panorama del foundraising europeo cresce nei singoli paesi, ad eccezione dell’Italia dove lo scenario risulta essere decisamente scoraggiante, con una raccolta fondi pari ad appena il 5% del totale europeo.

L’attività di private equity è ancora limitata rispetto alla dimensione economica del nostro paese e il bisogno di capitale di rischio risulta essere sempre più evidente a causa della necessità delle nostre aziende di crescere e di investire in un mercato sempre più competitivo.

Il Fondo Europeo degli Investimenti e la Commissione Europea hanno da poco lanciato una nuova eccellente iniziativa di sistema, con lo scopo di rafforzare gli investimenti nell’innovazione e nel capitale di rischio, arrivando a mobilitare fino a 6.5 miliardi di Euro. Secondo Innocenzo Cipolletta, il presedente di AIFI, la piattaforma di ITAtech, realizzata da Cassa Depositi e Prestiti per supportare i processi di cambiamento tecnologico, l’iniziativa “permetterà il moltiplicarsi di progetti che riceveranno fondi e potranno quindi affermarsi nel mercato internazionale”.

Ecco quindi un nuovo fiorire di brillanti iniziative, anche nel nostro Paese, da cui ripartire per scendere in campo e correre assieme alle grandi d’Europa.

 

Andrea Pellizzer

Filed Under: Blog

Cosa significa realmente fare Startup?

Settembre 9, 2018 by Andrea Pelizzer

Nel mondo, nove startup su dieci non sopravvivono ai primi tre anni di attività.

Delle tante startup che non ce l’hanno fatta, soprattutto in un una società come la nostra dove il fallimento è visto negativamente, non rimane traccia e queste chiudono i battenti nel silenzio generale. Ciò accade perché la nostra mentalità, influenzata forse da un eccessivo ottimismo, vede il fallito come un perdente e molto difficilmente gli concede una seconda possibilità, ripartendo dai propri insuccessi e imparando dagli errori commessi.

 

Nella cultura americana, l’approccio al fallimento viene invece considerato positivamente, un po’ come una lezione dalla quale imparare e ripartire. Ciò significa che se non ci si è riusciti, si può sempre riprovare fino ad arrivare all’obiettivo. La chiave del successo dei grandi imprenditori digitali della Silicon Valley si basa proprio sul mantra degli startupper “Try again. Fail again. Fail better”, che incarna l’obiettivo di avvicinarsi al risultato desiderato facendo tesoro delle sconfitte.

Un fallimento, infatti, non deve mai essere considerato come la fine di un percorso, ma piuttosto un incipit per cogliere nuove opportunità, sfruttando i propri errori e considerandoli occasione di crescita. Come ci insegnano molte storie di uomini di successo, bisogna non arrendersi anche quando nessuno crede più nel tuo talento. Il creatore di “Topolino” e di “Alice nel paese delle meraviglie”, Walt Disney, fu licenziato nel corso del suo primo impiego come disegnatore di fumetti perché dimostrava “mancanza di idee e di immaginazione”. Ma anche Charles Darwin, lo scienziato che avrebbe svelato la teoria dell’evoluzione, era considerato dalla famiglia e dai suoi compagni come un fannullone che sognava ad occhi aperti. Oggi nessuno metterebbe in discussione le capacità di questi uomini che hanno influenzato fortemente le vite di tutti noi, ma un tempo così non è stato. Loro però, hanno saputo resistere alle difficoltà, non si sono persi d’animo e hanno capito che era giunto il momento di cambiare e ripartire.

 

Il coraggio, la motivazione e la convinzione che spinge ad operare sono anche i principali fattori che alimentano il successo di una startup.

Nella fase di avvio della stessa non ci sono certezze di ritorno sull’investimento: sacrificare i propri risparmi, il proprio tempo e la propria vita privata potrebbe non ricompensare gli sforzi fatti. Inoltre, ottenere dei finanziamenti non è facile. Secondo i dati di StartupItalia! nel 2017 nel contesto nazionale a fronte di un incremento del numero di startup (arrivato a 8300), c’è stata una caduta degli investimenti del 23 per cento (pari a 41 milioni di euro) rispetto al 2016. In tutto questo c’è da considerare che la startup dei pagamenti online, Satispay, che ad agosto 2017 ha chiuso il round più significativo dell’anno (pari a €18 milioni), raccogliendo quanto tutte le altre hanno ricevuto nello stesso trimestre. In ogni caso, i finanziamenti non mettono le startup al riparo dai fallimenti: Juicero, Beepi e Quixey sono solo alcuni casi di realtà che, pur avendo ricevuto finanziamenti di milioni da banche e venture capitalist, hanno dovuto comunque chiudere i battenti.

Una startup però, può anche essere autofinanziata, passo dopo passo, con i propri mezzi, creando risultati duraturi. Se l’obiettivo invece è quello di ottenere risultati in fretta è molto probabile che ciò non accada, perché ambire a tale scopo tralascia quello che è il vero successo di un’azienda: produrre valore.

 

Secondo alcune statistiche nei prossimi dieci anni l’indice azionario Standard & Poor’s 500, l’indice che segue l’andamento delle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione, la metà di esse, oggi leader nel mercato, scomparirà e verrà sostituita da nuove realtà.  Questo perché viviamo in un mondo che cambia alla velocità della luce e il progresso tecnologico, che impatta sui processi aziendali delle imprese, permette alle stesse di entrare nel mercato ad una velocità maggiore. Le nuove startup dovranno dunque essere in grado di creare una cultura aziendale orientata all’innovazione e alla ricerca, virando su nuovi prodotti, nuovi servizi e nuove curve di valore.

 

Andrea  Pellizzer

Filed Under: Blog

© 2019 Invenicement · Palazzo Moro, Cannaregio, 2978, 30123 Venezia VE - 1° piano · Codice Fiscale: 94095810274